Cronaca internazionale

Quel docufilm su Versace che indispettì la polizia. L'accusa tra prove fumose e le ombre sul verdetto

Forti aveva criticato le autorità di Miami in un video sulla morte dello stilista. Nel processo il caso fantomatico dell'hotel e le tracce di dna mai trovate. E un giurato ammise di aver ricevuto pressioni

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15 luglio 1997: è questa la prima data da tenere a mente, nella vicenda giudiziaria di Enrico «Chico» Forti, l'ex velista trentino che ha scontato più di due decenni della sua vita in carcere a Miami. Quel giorno avviene quello che, secondo molte ricostruzioni, sia legali che giornalistiche, è l'«antefatto»: un omicidio che lega l'Italia agli Stati Uniti e che terrà i due Paesi con il fiato sospeso per molti giorni, fino al clamoroso arresto di un killer seriale. Di fronte alla sua casa a Ocean Drive, viene freddato in circostanze mai del tutto chiarite Gianni Versace. Per quel delitto fu incolpato Andrew Cunanan, un 27enne ritenuto l'autore di altri quattro omicidi e ritrovato 9 giorni dopo senza vita in una house-boat. Fu allora che Chico Forti, che all'epoca, trasferitosi negli Stati Uniti dopo avere vinto 86 milioni delle vecchie lire al concorso Telemike, era anche produttore di documentari, finanziò un docufilm, trasmesso nell'autunno 1997 su Rai3. «Il sorriso della Medusa» metteva in fila tutti i dubbi sulla vicenda dello stilista italiano, gettando un'ombra sull'operato della polizia di Miami. Dall'antefatto, al fatto. Nove mesi dopo, il 15 febbraio 1998, viene ucciso il 42enne Dale Pike (foto) e solo alcuni giorni dopo, al termine di un'indagine da più parti definita sommaria, accusato dell'omicidio Chico Forti: quest'ultimo non conosceva la vittima, ma era invece in contatto con il padre di Dale, Anthony Pike. Nella ricostruzione accusatoria, il movente è da ricercarsi negli attriti nati rispetto alla compravendita di un famoso hotel caduto in disgrazia, a Ibiza.

È nel tardo pomeriggio del 14 febbraio 1998 che Dale Pike atterra all'aeroporto di Miami, a quanto pare per limare alcuni punti di quell'accordo. Ad attenderlo c'è Chico Forti, che lo accompagna al Rusty Pelican, un ristorante dove Pike aveva appuntamento con alcuni amici. Ventiquattro ore dopo viene ritrovato morto, nudo, a Sewer Beach, paradiso dei surfisti a sud di Miami. Chico viene accusato dalla polizia alcuni giorni dopo e lì mente agli agenti. Sono i detective che per primi mettono sul tavolo dell'interrogatorio una bugia: dicono a Forti che anche Anthony Pike è morto e l'altro risponde con un'altra menzogna, affermando di non avere mai incontrato Dale all'aeroporto. Proverà a ritrattare, il giorno dopo, ma la nuova versione non verrà presa in considerazione e Forti verrà interrogato per 14 ore senza avvocato. Il movente del delitto per cui verrà in seguito condannato all'ergastolo è fumoso: Chico, comprando l'hotel, sarebbe stato vittima di truffa e non viceversa come era stato ricostruito inizialmente dall'accusa. Mancano poi le prove scientifiche, in quanto il suo dna non verrà mai ritrovato né sul corpo della vittima, né sul luogo del delitto. La sabbia, ritrovata nella sua macchina, è stata considerata la prova regina dall'accusa perché simile a quella di Sewer Beach, ma non vi sono prove incontrovertibili - secondo la difesa - che non appartenga ad altre spiagge dei dintorni.

Dal giorno della condanna di Forti, che per due decenni si è sempre professato innocente, sono state istituite diverse raccolte fondi per finanziare le spese legali a sostegno delle plurime richieste di revisione del processo. Sul sito ufficiale si trovano diversi contenuti a sostegno della sua difesa. Tra questi la testimonianza di una giudice popolare, la 19enne Veronica Lee, che anni dopo il processo, ha raccontato di avere subito pressioni da parte di altri membri della giuria. Oppure il conflitto di interessi che riguarderebbe un detective della polizia di Miami, Gary Schiaffo, assunto nell'ufficio del prosecutor Reid Rubin durante il processo contro Enrico. Schiaffo, che fu una delle sue fonti all'epoca del documentario su Versace, dirà invece di conoscere l'imputato solo superficialmente.

Un altro elemento riguarda Thomas Knott, amico di Anthony Pike, poi condannato per truffa. Quest'ultimo, che pure era a conoscenza dell'affare dell'hotel alle Baleari, secondo il team a supporto di Forti, non sarebbe mai stato invitato dalla polizia a rilasciare una deposizione, né coinvolto nel processo.

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