La stanza di Feltri

Rissosa e omologata. È la stampa bellezza

Esprimi molto lucidamente un sentimento che io stesso provo, ossia di amarezza rispetto ad una generale decadenza del mestiere del giornalista

Rissosa e omologata. È la stampa bellezza

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Caro Feltri,
giornali cibo per pensieri? Negli ultimi tempi, e sempre più spesso rispetto al passato, i giornali e i giornalisti parlano di se stessi. I giornali diventano notizia, cioè sono quello che invece dovrebbero veicolare. E perde di senso la definizione generale della categoria. Dovrebbero essere «media», cioè l'elemento di mediazione tra un fatto e la sua divulgazione. Sono diventati insieme fatto e mediazione. Il quarto potere ha un'importanza strategica, accanto agli altri tre costituzionalmente definiti (legislativo, esecutivo, giudiziario), per cui la sua degenerazione dovrebbe suonare almeno come un allarme. Che ne sarebbe di giudici che, anziché fare udienze, discutessero di se stessi, o di un Parlamento fermo a fissare il proprio ombelico (già lo fa, però), o di un governo che anziché al bene comune pensasse solo alla sua autocelebrazione? Le regole sono saltate, le notizie un inutile orpello, la casacca aziendale l'unica divisa che si distingue nella notte dell'informazione dove cronisti e commentatori diventano pedine del grande gioco e non sono più tali, cioè cronisti e commentatori. Così le redazioni diventano il luogo del sospetto malcelato, la domanda sottintesa a ogni articolo è cui prodest? Inchieste sui colleghi, dell'una o dell'altra parte, parole usate come sassi, accuse. Con buona pace del Brecht che fa dire al suo Galileo rivolto agli inviati del Sant'Uffizio: «Sarebbe bastato guardare nel cannocchiale», per vedere le lune di Giove e con esse avere la prova che la Terra gira attorno al Sole. Sarebbe bene aprire le finestre delle redazioni e respirare: fuori c'è un mondo da raccontare per chi avesse ancora la voglia di farlo.
Mauro Luglio
Monfalcone (Gorizia)

Caro Mauro,
esprimi molto lucidamente un sentimento che io stesso provo, ossia di amarezza rispetto ad una generale decadenza del mestiere del giornalista e della qualità dei giornali, che, come tu noti, non raccontano più la vita, i fatti che riguardano ed interessano la gente, bensì si avvitano intorno a polemiche e tafferugli. Vero è che, se un tempo i cronisti facevano giornalismo, adesso fanno bullismo, si scagliano uno contro l'altro, mossi spesso da invidia, altrimenti da cos'altro? In generale, coloro che lavorano all'interno delle redazioni hanno perso il contatto con la realtà, stanno come i politici, lontani dal popolo, chiusi o negli uffici o nei palazzi, osservando il mondo attraverso il display del telefonino o del computer. Questi vizi conducono inevitabilmente a sviluppare una visione quantomeno distorta e alterata del reale nonché a concentrarsi sul proprio ombelico, credendo che esso rappresenti il centro del mondo. E poi ci domandiamo perché nessuno legge più i giornali. È così semplice, è così evidente: i giornali sono diventati noiosi, ripetitivi, monotoni. Talvolta quello di oggi è identico a quello di ieri e sarà identico a quello di domani. Non cambia che la data. Dunque la colpa di tale disinteresse non è da attribuire ai lettori, sono i giornali ad essere diventati poco attraenti. Sono spesso i direttori a ritenere, a torto, che ciò che appassiona loro personalmente sia di gradimento ai lettori e ne susciti il coinvolgimento.

Sono lontani i tempi in cui al cronista era richiesto di scarpinare, guardandosi intorno, cacciando la notizia, vedendo con i propri occhi al fine di potere narrare ad altri. «Consuma le suole e conserva l'intelligenza» mi ripeteva il mio direttore Nino Nutrizio, il quale, in effetti, era convinto che il giornalismo si faccia prima con le scarpe e poi con la testa.

È indispensabile muoversi e fare in modo di non divenire mai grassi e indolenti topi di redazione, poveri di curiosità e di fantasia. E dico di fantasia poiché per spiegare bene la verità serve anche questa, per fabbricare fogli appetibili altrettanto.

A rovinarci è stato altresì il politicamente corretto. Oggigiorno non puoi fare un titolo un po' colorito o divertente che finisci sotto processo ed i primi a macellarti sono i colleghi. Le prime pagine sembrano sepolcri, tristi e lugubri.

Eppure basterebbe farsela una risata, almeno ogni tanto.

Perché la vita è troppo difficile per prenderla tanto seriamente.

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