Guerra in Israele

Quei ricordi del 7 ottobre nella giornata della Shoah. Ora "mai più"

Una fosca precognizione ha suggerito molto tempo fa al Museo di Yad Vashem di intitolare il Giorno della Memoria in Israele alle comunità scomparse

Quei ricordi del 7 ottobre nella giornata della Shoah. Ora "mai più"

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Una fosca precognizione ha suggerito molto tempo fa al Museo di Yad Vashem di intitolare il Giorno della Memoria in Israele alle comunità scomparse. Ma il Paese, il mondo intero, posso chiedersi: quali comunità? Quali ebrei? Quelli di Baranov, il paese polacco di mio padre, dove tutti furono deportati in massa? O quelli di Be'eri, sul confine di Gaza, dove il 7 ottobre in cento sono stati fatti a pezzi e stuprati in un pogrom senza precedenti? Ci si affanna a stabilire differenze e paralleli, si discute si dissente. Il presidente di Yad Vashem Dani Dayan sostiene che comparare il 7 ottobre alla Shoah è un regalo a Hamas e alla folle, feroce massa che negli atenei del mondo tiene per Sinwar.

La spina nel costato è profonda: il giorno della Shoah in Israele deve riaffermare «never again». Ma quale Shoah? Quella conclusasi nel 1945, tre anni e mezzo di strage sistematica di ebrei, o quella del 7 di ottobre, una giornata di impensabili orrori? Il paragone è lecito e carico di minaccia fra antisemitismo ideologico nazista, puntato alla cancellazione degli ebrei, e quello orribile e in piena proliferazione, cui si assiste nel mondo, puntato alla distruzione di Israele. Tutto è rovesciato. La dittatura, l'odio per le minoranze, per le donne, per gli omosessuali, che gli antisemiti in piazza dicono di rappresentare sono presenti nel loro amico Hamas, e nei loro sponsor, l'Iran e la Russia. La loro shoah è dal fiume al mare, l'eliminazione di una nazione e di un popolo indigeno e non coloniale, ma essi scaricano su questo popolo l'accusa di essere ciò che essi pretendono di odiare. È il famoso rovesciamento della Shoah. Ieri e oggi Israele affronta da solo il rischio per cui come dice la Bibbia «ad ogni generazione qualcuno si alza per ucciderci».

Nel giorno della Shoah, oggi alle dieci dal 1953, un momento mistico avvolge Israele: durante una sirena di due minuti, tutto si immobilizza e tace. Ma quest'anno, il presupposto stesso celebrazione della Shoah, la formula del «never again», è interrogativa e contorta. La domanda che la sovrasta viene dai sopravvissuti che hanno di nuovo dovuto sopravvivere all'impossibile persecuzione di un odio cieco e definitivo come quello del 7 di ottobre. Sara Jackson, polacca, sopravvissuta, ha aperto la porta della sua casa nel kibbutz a un gruppo di ragazzi terrorizzati fuggiti dal festival Nova. Lala, fra i rifugiati dall'attacco terrorista, ha ascoltato nel nascondiglio dai terroristi le storie di Sara. Adesso parlano insieme della ondata di antisemitismo bestiale di cui non si è mai più visto eguale da quando Sara si era salvata dal campo di concentramento.

Adesso, di nuovo ancora, il popolo ebraico affronta un'altra grande sfida. Il giorno dopo la strage del 7 ottobre da tutta Israele uomini, donne, professionisti, operai, a migliaia sono corsi a prendere le armi, si sono precipitati a offrire la loro vita, scacciando l'ala della morte. Un giovane sul fronte mi ha detto «never again sono io, mio nonno è sopravvissuto a Auschwitz, mio padre alla guerra del '73».

Lui è il migliore erede della Memoria.

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