La stanza di Feltri

L'intelligenza umana e quella artificiale

Sono davvero spiacente di deludere le tue aspettative sul mio conto ma di intelligenza artificiale non ho capito nemmeno io un granché. Stai tranquillo: non siamo imbecilli per questo

L'intelligenza umana e quella artificiale

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Direttore Feltri, sento tanto parlare di intelligenza artificiale. Sarò scemo io, non lo so, ma non ho ancora capito cosa diamine sia. Può spiegarmelo lei, cortesemente, visto che, quando scrive lei, non ho questi problemi di comprensione e interpretazione? E mi domando anche: questa intelligenza artificiale determinerà il disimpiego di noi esseri umani? Verso quale tipo di società stiamo andando?
Egidio

Caro Egidio, sono davvero spiacente di deludere le tue aspettative sul mio conto ma di intelligenza artificiale non ho capito nemmeno io un granché. Stai tranquillo: non siamo imbecilli per questo. Potremmo affermare, in sintesi, che essa consista nell'impego di macchine sofisticate, i cosiddetti robot, i quali dovrebbero soppiantare, o ricorrendo a un verbo più soft sostituire, l'essere umano in una serie di attività di vario tipo, cosa che dovrebbe produrre uno snellimento, una semplificazione e una velocizzazione di un numero ampio di procedure e lavori. Che tutto ciò possa costituire un pericolo non lo credo affatto. Del resto, è dalla stupidità umana che dovremmo guardarci più che dalla intelligenza delle macchine, che peraltro non esisterebbero senza l'uomo e che quindi non possono in ogni caso superarlo. Quindi scordiamoci quei risvolti fantascientifici e anche horror, proposti spesso dal cinema, in cui i robot assoggettano l'essere umano, rivoltandosi contro questi e annientandolo come fosse un fastidioso scarafaggio. Le macchine per funzionare hanno bisogno di noi. La metafora, tuttavia, è calzante: non dovremmo farci predominare dalla tecnologia, conservando, tutelando e coltivando quegli aspetti salienti della umanità che non possono in alcun caso e in nessun modo essere trasmessi da noi alle macchine e che rappresentano la nostra più grande ricchezza. Mi riferisco, ad esempio, alla creatività, alla nostra capacità cioè di creare mediante l'ingegno e l'anima, la fantasia e l'immaginazione. E mi riferisco altresì alla nostra attitudine a sentire, a provare, ad emozionarci, ad amare. I robot non possono amare, piangere, ridere, inventare, scrivere romanzi, poesie, soffrire, gioire, stupirsi, credere, avere fede, perderla. Ciò che non è in grado di amare non può in alcun caso né superarci né eguagliarci. Dunque, eviterei di sentirmi minacciato dal progredire della scienza e della tecnologia, della robotica e della meccanica. Il vero rischio non è che le macchine possano oltrepassarci, il vero rischio ripeto è che l'essere umano intenda andare oltre l'essere umano, smarrendo quei tratti peculiari della umanità che sono suo appannaggio e di cui ho accennato poc'anzi. Mi viene in mente a questo proposito un libro che ho molto apprezzato, Cuore di cane di Bulgakov, romanzo classico russo risalente al 1925 che narra la storia della trasformazione chirurgia di un cane randagio di Mosca in un uomo in seguito all'esperimento di un professore di medicina di fama mondiale alle prese con una ricerca sul ringiovanimento del corpo umano. Sarà lo stesso docente, ormai tragicamente cosciente delle conseguenze nefaste innescate dalla sua sperimentazione, a decidere di tornare indietro, rimuovendo al cane Pallino l'ipofisi umana che gli era stata dal medico stesso trapiantata. Esistono leggi della natura che noi non possiamo pretendere di modificare, pena la creazione di qualcosa di mostruoso. I cambiamenti ci hanno sempre spaventati, ma il progresso è segnato da questi passaggi, esso si realizza mutamento dopo mutamento, rivoluzione dopo rivoluzione. Opporci a tutto ciò non avrebbe alcun senso.

Dobbiamo semplicemente individuare i modi migliori per trarre vantaggi da ogni scoperta, restando sempre consapevoli che non può esserci evoluzione se ci disumanizziamo non cercando di rendere le macchine simili a noi (operazione impossibile) bensì cercando di rendere noi esseri umani simili alle macchine.

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