Guerra in Israele

Bibi come Golda, la solitudine nella scelta. Pressioni e ricatti. Con il macigno dei rapiti

La spinta degli americani per evitare un intervento israeliano a Rafah. Il ruolo dei sauditi per il post guerra a Gaza. Ma Sinwar rivendicherà lo stop come un successo

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Non c'è modo per ora di capire più di quello che suggerisce un Blinken, in genere poco simpatetico, con una frase diretta: la proposta di Israele per un accordo che consenta di riavere fra le braccia i rapiti è «straordinariamente generosa», e la responsabilità di un rifiuto sarà tutta di Hamas. Che cosa significa questo slancio verbale? Può voler dire che Israele rinuncia agli ostaggi richiesti; che è pronta a consegnare migliaia di prigionieri palestinesi anche «col sangue sulle mani»; che, dato che è soprattutto il dominio di Gaza quello che Sinwar fa di tutto per conservare chiedendo il cessate il fuoco definitivo, Israele accetterà altre richieste difficili, come il passaggio a Nord della grande folla sgomberata, un ritorno alla normalità, e una lunga tregua che poi avrà articolazioni successive; se proprio non contraddiranno del tutto la decisione di Netanyahu di non abbandonare la guerra fino alla sconfitta dei quattro battaglioni stanziati a Rafah, pure consentirà tappe, sconti, modalità svariate... di cui in queste ore si discute. Ancora, gli aiuti umanitari saranno allargati e distribuiti con tecniche più efficienti. Se si cercano altre tracce importanti della novità, si possono trovare nella forte delegazione israeliana al Cairo per nuovi colloqui. Gli intermediari stavolta sono gli egiziani (non il Qatar) con forte spinta e sostegno americano, che hanno invitato anche una delegazione di Hamas.

L'Egitto ha carte in mano e molto interesse all'accordo: Rafah è sul confine. Da Gaza l'Egitto potrebbe fare uscire e accogliere profughi, sui quali finora c'era un forte rifiuto e di questo si aggiunge il fatto che quel confine può essere usato per impedire l'ingresso di cibo o di quant'altro utile a Hamas, e l'Egitto si impunta. Intanto, Blinken ieri è andato a trovare i sauditi, che tornano nella narrazione della guerra: un nodo dell'attacco del 7 ottobre si è visto nell'accordo Israele-Arabia Saudita allora pericolosamente vicino. Gli Stati Uniti, spinti dall'urgenza elettorale, adesso cercano di tessere una tela in cui Hamas si senta costretta a un accordo e Israele veda una prospettiva per cui possa accettare di non entrare a Rafah o entrarci con qualche regola. Nel futuro Gaza può essere controllata da una coalizione internazionale occidentale-arabo moderata, compresi, come Biden sogna, i palestinesi di Abu Mazen.

Tutto questo sarebbe interessante se Sinwar fosse un interlocutore razionale e se la discussione non fosse straziata da un'ondata di antisemitismo: Israele vuole lo scambio, Sinwar invece riceve vantaggi proprio dalla continua menzogna che Israele non sia pronto a sacrifici. È Hamas che, mentre pratica la tortura sugli ostaggi, ritiene la sofferenza degli ebrei e di Israele una vittoria esaltante. In più Hamas è stato aiutato purtroppo dalla ripetuta continua pressione su Netanyahu, che né ha attaccato Rafah, né si è scansato dalle trattative tenendo però fermo il timone della necessità di distruggere un nemico che minaccia di distruggere Israele, né ha limitato in piazza, sui giornali, nelle istituzioni, nei rapporti internazionali la molteplice, fantasiosa, diffusione dell'idea che le sue intenzioni cancellino democrazia e diritti umani. Le famiglie disperate che in parte lo bistrattano come fosse responsabile del fatto che Sinwar non è un interlocutore meritano senza dubbio tutto l'amore e la comprensione del Paese, ma ne delegittimano l'azione e spingono Sinwar a pensare che otterrà tutto quello che vuole. Intanto la Cpi lo vuole perseguire come un criminale di guerra, mentre la stampa internazionale gli dà la caccia. Biden ha lasciato che si diffondesse l'idea di una rottura fra il guerrafondaio Netanyahu e un gruppo capitanato da Gantz. Non è così: Gantz rivuole, giustamente, a casa i rapiti e vuole, giustamente, anche sconfiggere Hamas. Così tutto il governo e quasi tutto il Parlamento. Solo che alla fine sarà Netanyahu, nella solitudine del premier a dover decidere, proprio come fece Golda Meir dopo la guerra del '73. Anche lei subì una terribile sorpresa personale e alla fine vinse. Bibi, deve anche fare due difficili cose: vincere Hamas mentre i rapiti muoiono, gridano, devono tornare a casa.

E una cosa confligge con l'altra.

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