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"Dal premierato stabilità. Io non indietreggio"

Meloni al convegno con la società civile. Da Panebianco ad Angelucci, da Gerini a Magnini

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È una convocazione plenaria, un confronto sulla riforma della Costituzione al quale è stato invitato un distillato della società civile e uno spaccato rappresentativo delle classi dirigenti. La domanda è: cosa fare per rendere più moderno il sistema istituzionale, mantenendo lo spirito dei padri costituenti senza ripiegarsi sul passato? Come creare quella che Luciano Violante definisce una «democrazia decidente»? Una questione sollevata dalle Fondazioni De Gasperi e Craxi presiedute da Angelino Alfano e Margherita Boniver, in un convegno che va in scena alla Camera nel giorno in cui il testo sull'elezione diretta del Premier approda nell'Aula del Senato.

Giorgia Meloni ascolta tutti gli interventi seduta in una platea in cui compaiono intellettuali come Angelo Panebianco, attori come Claudia Gerini e Antonio Giuliani, imprenditori come Giampaolo Angelucci, sportivi come Filippo Magnini, conduttori televisivi come Massimo Giletti, e spiega perché il governo andrà fino in fondo. «La Costituzione non è mai stata pietrificata, ha vissuto dall'interpretazione data dagli attori del tempo. Sarebbe un errore gettare la spugna. Più riusciamo a restare nel merito, più possiamo arrivare non so se a un testo condiviso ma a un testo migliore».

Per spiegare la necessità di un serio restyling costituzionale, Giorgia Meloni ricorda le deviazioni dal percorso democratico consumate nella scorsa legislatura. «Abbiamo avuto tre governi guidati da due presidenti del Consiglio, nessuno di quali aveva avuto una legittimazione popolare diretta, formati da partiti che avevano dichiarato la propria alternatività, impegnati a realizzare programmi mai sottoposti al vaglio dei cittadini, con la fiducia votata da parlamentari eletti con liste bloccate. Io credo che una democrazia in cui i cittadini non scelgono la maggioranza, il presidente del Consiglio e neanche i parlamentari rappresenti un problema».

Intervenire dunque non è una opzione, ma un imperativo. «Non mi interessa come i miei avversari potrebbero utilizzare questa riforma. Presiedo un governo stabile, so che mi sto prendendo un rischio. Ma se non cogliessi questa occasione, anche se c'è chi dice che è pronto a fermarla con il proprio corpo', non sarei a posto con la coscienza. Anche a costo di rimettere la riforma al giudizio degli italiani. D'altra parte la Repubblica è nata con un referendum divisivo ed è stato un bene».

Sul merito delle contestazioni Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro per le Riforme Istituzionali, giudica «avvilente continuare ad ascoltare la stanca litania secondo la quale la riforma mortificherebbe la figura del Presidente della Repubblica solo perché ne riduce gli spazi di intervento nella gestione delle crisi». Il presidente della Camera Lorenzo Fontana ricorda invece le parole di Piero Calamandrei: «La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.

Le modifiche e le correzioni sono proprio il carburante di cui parlava Calamandrei».

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