Quirinale

La solidarietà di Mattarella. E sulle riforme Meloni non vuole scontri col Colle

Il picco della tensione, seppure ovattata, è arrivato il 24 febbraio. Quando Sergio Mattarella chiamò il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi per stigmatizzare gli scontri di Pisa

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Il picco della tensione, seppure ovattata, è arrivato il 24 febbraio. Quando Sergio Mattarella chiamò il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi per stigmatizzare gli scontri di Pisa facendogli presente che «con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». In quei giorni concitati la maggioranza era su tutt'altra linea e Giorgia Meloni parlava di «falsa narrazione».

Distanze che nei mesi a venire si sono mitigate, fino a mettere da parte l'iniziale circospezione che ha caratterizzato i rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi all'indomani della nascita del governo. Il tutto è accaduto mentre il dibattito in corso sul premierato andava prendendo toni meno ultimativi, fino ad arrivare al convegno costituzional-popolare organizzato alla Camera due giorni fa in cui Meloni ha aperto a un dialogo con l'opposizione e a eventuali modifiche. Sul punto sono due le scuole di pensiero. La prima: la premier ha sempre pensato che il testo iniziale dovesse essere rimodulato, come fosse ancora un «foglio bianco». La seconda: Meloni ha tirato il freno a mano in corsa, perché la piega che stava prendendo il dibattito era quella di una riforma contro Mattarella, che ha tuttora un altissimo gradimento ed è percepito come il garante del Paese. Insomma, il rischio era quello di affossare la «madre di tutte le riforme», ragionamento che ha iniziato a prendere piede a Chigi dopo l'inattesa sconfitta in Sardegna. Arrivata due giorni dopo i fatti di Pisa e il giorno seguente alla nota con cui Fdi aveva, di fatto, preso le distanze dalle parole del capo dello Stato.

Comunque stiano le cose, la decelerazione sul premierato è un fatto. Come pure è chiaro che Meloni vuole evitare non solo la percezione di una riforma contro («è una cosa che riguarda il futuro, non la sottoscritta o Mattarella», ha detto mercoledì) ma anche una spaccatura nel Paese che porti a un referendum confermativo di stampo renziano. Che, in caso di sconfitta, avrebbe inevitabilmente conseguenze devastanti sul governo. E che anche in caso di vittoria risicata (si pensi a un 51 a 49) rischierebbe di lacerare l'Italia. La linea - suggerita anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, primo ambasciatore di Palazzo Chigi al Quirinale - è dunque quella della prudenza. Con l'idea di non arrivare al referendum prima del 2026 inoltrato, magari anche a inizio 2027, cioè a ridosso della fine della legislatura.

Si arriva così al Primo Maggio, con la premier che in una diretta social rivendica «gli ottimi risultati» del governo sul fronte del mercato del lavoro e «il record di occupazione», che - dice - sono stati «salutati con soddisfazione» anche «dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che voglio ringraziare per le sue parole molto importanti». Insomma, nel corso dei mesi il rapporto sembra essersi rodato rispetto agli esordi o allo scorso febbraio. E quanto accaduto ieri pare esserne una conferma. La contestazione alla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella durante gli Stati generali della natalità a Roma, infatti, scatena una batteria di dichiarazioni della maggioranza e di tutto il governo. Meloni parla di «spettacolo ignobile» e auspica «la condanna di tutti i partiti». Dal M5s non una parola, e il Pd si limita a qualche sporadico attestato di solidarietà. Mattarella, invece, replica quanto fatto con Piantedosi e chiama la ministra. Questa volta, però, per esprimergli la sua solidarietà, perché «voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la Costituzione». E proprio della Carta parlerà poche ore dopo il capo dello Stato, stigmatizzando «la tendenza» a voler inserire «nella prima parte della Costituzione» (diritti e doveri dei cittadini) «nuove disposizioni su argomenti specifici». Il riferimento non è evidentemente al premierato, che tocca esclusivamente la seconda parte della Carta.

Tanto che, forse anche per evitare fraintendimenti, Mattarella aggiunge che «non può» esprimersi riguardo a proposte di modifiche: «La Costituzione assegna il potere di apportarle al Parlamento e non al presidente della Repubblica».

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