Cronache

Cosa nasconde chi ha paura di scrivere mamma e papà

Cosa nasconde chi ha paura di scrivere mamma e papà

Anche in un'epoca di insulti, rutti e pugni chiusi al Senato, il politicamente corretto resta duro a morire, e così il garante per la privacy ha bocciato la proposta di Matteo Salvini di reintrodurre «padre» e «madre» in luogo di quei «genitore 1» e «genitore 2» stampati, ahimè, sui moduli del ministero dell'Interno. La proposta di Salvini, secondo il garante, è contraria al «diritto alla riservatezza».

E sarà. Ma se indicare «padre» e «madre» è una violazione della riservatezza, scrivere «genitore 1» e «genitore 2» è una violazione della realtà e della lingua italiana. Della realtà, perché a stabilire che ciascuno di noi è nato da un padre e una madre (anche per i concepimenti in provetta occorrono uno spermatozoo e un ovulo) non è Salvini, non sono nemmeno i preti, ma è la natura, la biologia, la realtà appunto. Ed è una violazione della lingua perché «genitore» è colui che genera, quindi un uomo (un padre) e una donna (una madre). Certo esistono anche una paternità e una maternità affettiva, spirituale, chiamatela come volete. Anzi. Molto spesso queste paternità e maternità sono anche più nobili, più sincere e più motivate di tante genitorialità biologiche. Il cuore, l'amore con cui si accudisce e si fa crescere un bimbo sono ben più importanti del solo concepimento biologico. Quindi ci sono bambini che hanno perso o la mamma o il papà o entrambi, bambini adottati, bambini che crescono con due donne o due uomini. Per tutti questi, è chiaro che apporre la firma del padre e della madre è impossibile. Ma perché imporre genitore 1 e genitore 2? Quand'ero bambino sulle pagelle era stampato «firma del padre o di chi ne fa le veci». Non andrebbe bene? È una dicitura maschilista, che relega la madre al ruolo di vice-genitore? Ma allora esiste anche «firma di un genitore o di chi ne esercita la potestà», che potrebbe essere perfetta, anche per chi cresce con due maschi o due femmine. Ma, leggo su un sito perbene che si occupa di scuola, queste formule sono «odiose». Testuale: odiose.

E così, per non usare queste vecchie formule odiose, si falsifica la realtà, o meglio ci si illude di cambiarla cambiandole il nome. Questo avviene per tutto ciò che è reale ma che non ci piace, e che vorremmo fosse diverso da com'è. E così, ad esempio, chiamiamo matrimonio anche quello fra due persone dello stesso sesso, quando matrimonio deriva da matris (madre) e munus (compito, dovere): è dunque un termine che, come scrive l'Accademia della Crusca, «rispetto ad altri termini che vengono correntemente impiegati con significato affine pone maggiore enfasi sulla finalità procreativa dell'unione». Naturalmente qualcuno dirà che questi sono discorsi omofobi, ma l'omofobia non c'entra nulla, perché non si tratta di negare una legittimità a qualsiasi unione, si tratta solo di chiamare le cose con il proprio nome. Per paradosso, a discriminare adozioni e unioni civili sono proprio quelli che le vogliono chiamare con il vocabolario tradizionale, quasi si vergognassero di una differenza. E quindi oggi nel (presunto) tentativo di tutelare chi non ha una mamma e un papà si eliminano quei termini per tutti, si vuol di fatto far passare l'idea che «padre» e «madre» non esistono, e chi si azzarda a dire il contrario è un oscurantista, un reazionario, un fascista, un Salvini insomma. Già cent'anni fa Gilbert Keith Chesterton previde che sarebbero arrivati tempi in cui «tutto sarà negato», tempi in cui «fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro», tempi in cui «spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate».

Tempi duri per la realtà.

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