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La May non molla il governo ma ripiega su una "soft" Brexit

La May non molla il governo ma ripiega su una "soft" Brexit

Ieri a Bruxelles la parola più usata è stata Schadenfreude. In tedesco è il sottile piacere provocato dai guai altrui e ai vertici della Ue il secondo suicidio di un leader tory in pochi mesi ha finito per provocare qualche malcelato sorriso. Il primo harakiri, quello di Cameron con il suo referendum sull'Europa, è ormai passato agli archivi. L'ultimo, con la scommessa persa da Theresa May, rischia di avere conseguenze pesanti sui negoziati per la Brexit. Ed è per questo che, dopo i sorrisetti, a prevalere è stata la preoccupazione. Avere di fronte un governo inglese instabile e dai comportamenti ondivaghi aumenta l'imprevedibilità delle trattative che stanno per aprirsi. E per ciò stesso l'inquietudine della tecnocrazia europea.

Come ovvio le dichiarazioni ufficiali sono state più che diplomatiche. Il presidente del Consiglio Donald Tusk è arrivato a fare le «congratulazioni» alla May per il risultato ottenuto, un passaggio che fa quasi sospettare un intento ironico (visto il personaggio è da escludere). Dopo i complimenti lo stesso Tusk è, però, arrivato subito al dunque: «Sulla Brexit non c'è tempo da perdere». Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente della Commissione Jean Claude Juncker: «Speriamo che in Gran Bretagna si formi al più presto un governo stabile, ma non penso che le cose siano diventate più semplici». Il primo problema è quello dei tempi: dopo tante chiacchiere e la notifica dell'addio britannico il 29 marzo scorso, il via ufficiale ai negoziati era fissato il 19 giugno a Bruxelles, con un consiglio europeo in calendario il 22 e 23. «Siamo pronti, fosse per noi i negoziati potrebbero iniziare domattina», ha detto Juncker. Si può dire lo stesso di Londra? La premier inglese si era già guadagnata il nomignolo di Theresa Maybe (forse) per l'incapacità di presentare all'opinione pubblica un piano concreto e praticabile per affrontare le trattative. Dopo lo scossone le cose sono solo peggiorate. L'inquilina del numero 10 di Downing Street cercava una maggioranza più forte a sostegno di un'uscita «dura» dall'Europa. Non è arrivata. Anzi, si è andati in direzione decisamente contraria. «L'hard Brexit e la stessa Brexit sono state sconfitte dalle elezioni», ha sintetizzato il presidente del Parlamento Antonio Tajani.

L'indebolimento della posizione negoziale britannica sembra sintetizzato dalla picchiata della sterlina (-2% su dollaro ed euro) e il governicchio in formazione a Londra, con i conservatori costretti a imbarcare i protestanti nord-irlandesi del Democratic Unionist Party, contiene già i germi di una uscita «soft», almeno a guardare uno dei temi più delicati sul tappeto, quello del confine irlandese. L'intero impianto degli accordi di pace tra cattolici e unionisti si basa su una frontiera «aperta» tra le contee del Nord e la Repubblica del Sud. E ora che succede, con il confine unico punto di contatto terrestre tra Ue e Regno Unito? La leader del Dup, pur euroscettica, qualche tempo fa è stata chiara: «Nessuno di noi vuole vedere una hard Brexit, vogliamo un piano praticabile per uscire dall'Europa. Che rispetti le specificità nord-irlandesi e naturalmente storia e geografia condivise con la Repubblica d'Irlanda».

Il confine è uno dei temi destinati a essere affrontati per primi nelle trattative, insieme allo status dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna e al «conto» chiesto da Bruxelles agli inglesi in partenza. Qui la lotta sarà durissima, la Ue chiede tra i 60 e i 100 miliardi per una serie di voci: dagli impegni pluriennali di spesa già assunti, fino alle pensioni dei funzionari britannici che rischiano di rimanere sul groppone degli altri europei. Per le polemiche bisognerà aspettare pochissimo: il 13, martedì, la Commissione deve esprimersi sulla permanenza a Londra del cosiddetto «clearing» dei derivati. In pratica tutti i contratti derivati conclusi in Europa (850 miliardi al giorno) vengono gestiti e «compensati» dalla capitale britannica. La Bce ha già detto che per motivi regolamentari non sarà più possibile.

In ballo ci sono i primi soldi sonanti.

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