Politica

Salvini fa il vero premier e spaventa Di Maio & C.

I grillini temono il protagonismo dell'alleato. La profezia di Morra: rischiamo di evaporare

Salvini fa il vero premier e spaventa Di Maio & C.

Da una parte ci sono i competitor, con le loro fragilità. Racconta l'ex senatore del Pd Paolo Corsini: «Un mio collega dell'università di Brescia, il professor D'Andrea, mi ha confidato che un giorno durante le trattative per il governo, un suo ex allievo, il grillino Danilo Toninelli, ora ministro, gli telefonò trafelato: Professore - gli disse - siamo in emergenza, fra cinque minuti siamo ricevuti da Mattarella, ha qualche nome da suggerirci da proporre come premier?».

Dall'altra l'insidioso partner di maggioranza, il personaggio che piano piano sta imponendo la sua egemonia nel governo a sentire anche gli «ex» alleati e i suoi oppositori, cioè Matteo Salvini. «Là dentro - azzarda Roberto Occhiuto di Forza Italia - lui è il maschio alfa. Li sovrasta fisicamente. Il branco gli va dietro. Logico, l'unica novità dei grillini è stata quella di mettere per la prima volta al ministero delle Pari opportunità un uomo!». Una sensazione che ritorna anche sulla bocca di un'altra azzurra, Laura Ravetto. «Siamo alla prepolitica - analizza -: nel governo da una parte c'è il maschio alfa, dall'altra gli sfigati o, meglio, i fighettini». Mentre il ministro Paolo Savona ha offerto a un amico una descrizione di Salvini che si attaglia a quella del «macho»: «Rispetta la parola data e non ha paura di niente».

Appunto, la sceneggiatura di questi primi giorni di governo sembra già scritta non tanto nella politica quanto nei profili psicologici, nei comportamenti, negli atteggiamenti dei protagonisti: l'impressione generale è che Salvini sovrasti quasi fisicamente i suoi partner, li renda oggi comparse, o gregari, e domani vittime. Troppo il gap che divide un personaggio incolore come il premier Conte, o fragile come il leader grillino Di Maio, dallo schiacciasassi lombardo. E anche se si tratta soltanto di impressioni, contano perché è su quelle che si forma l'opinione pubblica. Ieri il vicepremier leghista ha spaziato su tutti i temi economici - anche quelli di competenza dei ministri pentastellati - davanti alla platea della Confesercenti, rilanciando la flat tax e cancellando ogni limite all'uso del contante. Poi, nell'aula del Senato, si è intestato da solo, senza che il ministro Toninelli tentasse di ritagliarsi una parte di merito, la battaglia sui migranti contro l'Europa. Insomma, un sola star sul palcoscenico che riceve le lodi sperticate dei suoi e suscita la diffidenza (o i timori) degli alleati. «Se uno è alfa, è alfa» osserva entusiasta Cinzia Bonfrisco, ex senatrice di Forza Italia ora nella Lega: «E le palle contano in politica». «Dentro il governo - spiega il ministro leghista degli Affari regionali Erika Stefani - c'è innazitutto lui... e poi gli altri come il premier Conte... un uomo elegante...». Uno squilibrio, una differenza di peso, che anche i grillini cominciano a sentire. E ad ammettere. «Cca nisciuno è fesso!» sbotta il senatore 5stelle Giovanni Endrizzi facendo ricorso a una battuta di Totò. Mentre il sottosegretario all'Editoria, Vito Crimi, tenta di inventare una versione alternativa, che rincuori i suoi. «Salvini ha lo scatto del centometrista - spiega, facendo ricorso alla tecnica sportiva - ma alla fine si spomperà. Noi, invece, siamo maratoneti».

Sarà, ma il «protagonismo» di Salvini, il trionfo della Lega e la sconfitta grillina alle amministrative, la difficoltà di prendere le misure per controbilanciare il «maschio alfa», hanno cominciato a mettere in frizione le diverse anime grilline, a materializzare i primi incubi. C'è il rischio dell'«implosione» che potrebbe trasformare uno dei fattori di successo dei 5stelle, cioè il «trasversalismo» tra destra e sinistra, nel loro tallone di Achille: l'elettorato di destra del movimento, infatti, potrebbe essere fagocitato dalla Lega (nei sondaggi si avvertono i primi segnali); mentre, quello di sinistra, potrebbe sentirsi emarginato e scegliere altri lidi. «Lo sappiamo bene - ammette l'abruzzese Gianluca Castaldi -, ma io sono nato con Grillo e morirò grillino». Un pericolo che gli ortodossi come Nicola Morra, intravedono dietro una competizione impari. «La qualità della stoffa - ragiona - la scopri al tatto. Il sistema mediatico ha accreditato Rocco Casalino come un gigante del pensiero. Poi, però, ti scontri con la realtà. Sapete cosa significa evaporare?».

Il problema per i 5 stelle è la percezione che si ha di avere davanti un governo a egemonia leghista. «Ha ragione il presidente della Camera, Fico - ironizza Ignazio La Russa, che con Fratelli d'Italia è mezzo dentro e mezzo fuori dalla maggioranza - quando dice che i 5stelle sono diventati la corrente di sinistra della Lega». Come pure il dinamismo, il pragmatismo e la spregiudicatezza, fanno apparire Salvini come il premier ombra: dov'è oggi, non è domani. E gli altri sono costretti a inseguirlo. Era per le elezioni anticipate, ma è bastata una telefonata preoccupata di Mario Draghi, sui rischi «finanziari» di un periodo di instabilità, all'eminenza ombra leghista, Giancarlo Giorgetti, per fargli cambiare idea. O, ancora: aveva promesso a Berlusconi che le deleghe sulle telecomunicazioni sarebbero andate a un leghista, ma non ci ha pensato due volte a lasciare la patata bollente a Di Maio: «Con me ha chiuso», è stato il commento del Cav. In cambio sarà l'unico ministro a non avere un vice, qualcuno accanto che gli faccia ombra: «Non ci sarà nessun viceministro all'Interno», prevede il sottosegretario leghista Candiani. E ancora, attraverso Giorgetti, ha ingaggiato un braccio di ferro sulla nomina del segretario generale di Palazzo Chigi, ponendo un mezzo veto (sono volati parole grosse a Palazzo Chigi) sul candidato del premier, Giuseppe Busia.

La verità è che Salvini sta usando il governo per i suoi comodi, fino a quando gli converrà. «Se va bene - è la sintesi di Candiani - noi saremo quelli che hanno trainato il treno. Se va male saremo quelli che hanno inchiodato i grillini alle loro incapacità». Solo che la sovraesposizione, il ruolo di «maschio alfa», tratto inconfondibile di ogni leader populista, potrebbe trasformarsi in un boomerang. «Potrebbe succedergli - è la previsione a cui si lascia andare da settimane Matteo Renzi - quello che è successo a me: al popolo prima o poi devi portare dei risultati e loro non sono in grado di farlo». Ecco perché molti sono convinti che prima che la curva della parabola imbocchi la discesa il leader leghista staccherà la spina. «È probabile - osserva Roberto Marti, altro forzista diventato leghista - che arrivi alle Europee, verifichi il consenso e decida di incassare andando subito alle Politiche». Più o meno la previsione che Giovanni Toti, nell'ultimo anno assiduo frequentatore di Salvini, ha fatto ad alcuni esponenti di Forza Italia: «In due anni ci porterà alle elezioni.

Al massimo nella primavera del 2020, insieme alle Amministrative».

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