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Il vero incubo: il governo di transizione

Il vero incubo: il governo  di transizione

E se Matteo Salvini fosse stato preso dai primi dubbi? Possibile che a 48 ore dallo strappo che ha formalmente messo in crisi il governo di Giuseppe Conte il leader della Lega non sia più così graniticamente convinto della strada intrapresa? Lui, interpellato da alcuni dei suoi, nega categoricamente. Ma l'impressione di una giornata per la prima volta non all'arrembaggio l'ha avuta più di un leghista di rango.

Difficile capirne fino in fondo la ragione. Potrebbe dipendere dai molti feedback negativi arrivati sui social nelle ultime ore. La diretta Facebook del comizio pugliese a Peschici di venerdì scorso, per dire, è stata un fiorire di commenti critici verso la scelta di staccare la spina al governo, per i modi e per i tempi agostani. Certo, sui social si muovono anche le truppe grilline e il dissenso sarà stato anche loro. Ma mai come prima il ministro dell'Interno, anche nella successiva diretta da Polignano a Mare, è stato oggetto di così tante critiche. Perché in effetti, dice un deputato della Lega che ieri ha avuto occasione di sentirlo, «è vero che c'è una parte di quel 35% di consenso che ci attribuiscono i sondaggi che viene da ex elettori del M5s o da pezzi del centro moderato che potrebbero non aver gradito la scelta di aprire questa crisi agostana».

Dal canto suo, Salvini è fortemente convinto che sia in atto una manovra per rinviare il voto a data da destinarsi. Con diversi scenari, tra cui quello che vedrebbe Conte restare a Palazzo Chigi ma sostenuto da un'altra maggioranza. In questo caso, però, il premier dovrebbe salire al Quirinale dimissionario prima di farsi sfiduciare dalle Camere, passaggio che in qualche modo precluderebbe mosse successive. E proprio questo era ieri il timore di Salvini. Il leader della Lega è infatti ben consapevole di quanto la politica sia in subbuglio in queste ore ingarbugliate. Con la sua uscita, intanto, Beppe Grillo ha di fatto legittimato i parlamentari Cinque stelle (216 deputati e 107 senatori) a sostenere altri governi. Ora potranno dire di farlo non per conservare la poltrona, ma perché «l'ha detto Beppe». Nel Pd, invece, Matteo Renzi continua a tessere la tela con Luigi Di Maio. Mentre venerdì sera a cena l'ex leader del Pd avrebbe avuto un lungo faccia a faccia con un big di Forza Italia. D'altra parte, il partito di Silvio Berlusconi conta 104 deputati e 62 senatori, buona parte dei quali sono destinati a non rientrare in Parlamento. Terreno fertile, insomma, per appelli alla «responsabilità» a governi di scopo, di transizione o di salvezza nazionale. Comunque li si voglia chiamare, si tratta di esecutivi che posticiperebbero la data delle elezioni anticipate. Non è un caso che il tira e molla tra Salvini e Forza Italia veda incrociarsi il tema del quando si voterà con la questione alleanze. Il leader della Lega vuole chiudere il primo fronte e solo dopo ottenute le urne occuparsi del secondo. Mentre Berlusconi è per affrontare i dossier insieme, ben consapevole di avere oggi un ruolo centrale per la soluzione della crisi. E quindi più peso per trattare con Salvini le condizioni di un'alleanza.

Insomma, scenari diversi e tutti in evoluzione. Con il leader della Lega che si va sempre più convincendo che il tentativo di creare nuove maggioranze possa andare a buon fine. Su questo fronte, però, Salvini è pronto a battersi senza esclusione di colpi. Anche se questo dovesse comportare di mettere nel mirino un Sergio Mattarella con cui il ministro dell'Interno non ha mai trovato un feeling. In quest'ottica il vicepremier sta valutando tutti i possibili scenari alternativi al voto. Il piano A è quello di rimanere all'opposizione, con il rischio però che un eventuale esecutivo di transizione possa poi trovare un suo equilibrio rimandando le urne sine die.

Ecco perché si studiano anche diversi piani B.

E sarà forse per questo che si vocifera di un possibile incontro tra Salvini e Di Maio domani a Palazzo Chigi.

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