Se il boom dell’editoria a pagamento si deve alle innovazioni tecnologiche (siti esca su Internet, stampa digitale a bassi costi) è in Rete che suona la tromba della rivolta: la giovanissima Linda Rando (19 anni) ha pubblicato sul sito writersdream.org una lista nera: «Ho scoperto dell’esistenza dell’editoria a pagamento e non mi sono data più pace» scrive nel blog sul romanzo, anche questo impegnato nella «crociata» anti-mercenari. La black list comprende 46 sigle: Alberti, Zeroundici, Bastogi, Il Pavone, Edigiò... E arrivano segnalazioni di nuove vittime. L’esercito dei manoscrittari è in crescita e non si dà mai per vinto.
Alla voce «doppio binario» ci sono 31 editori che fanno un minimo di selezione e sono meno esosi: Cicorivolta, Giovane Holden, Tabula Fati... «Riceviamo 300 manoscritti ogni anno» dicono quelli di Mobidyck. «E ne pubblichiamo non più di 7/8 (il nostro giudizio ovviamente è soggettivo, quindi discutibile. Ma abbiamo una nostra idea di qualità che cerchiamo di portare avanti). Chiediamo agli autori un pre-acquisto di copie (che sappiamo per esperienza utili nell’auto-promozione, nella rappresentanza, nella partecipazione a reading e rassegne)».
Ma dov’è il problema? Persino Gadda e Moravia hanno iniziato come autori Aps, autori a proprie spese secondo l’acronimo escogitato da Eco nel Pendolo di Foucault. «Il problema è che si usano mezzi poco chiari» protesta Chiara Beretta Mazzotta dell’agenzia PuntoΖ che svolge servizi editoriali di lettura manoscritti, editing e ha come clienti grandi e piccoli editori e agenti letterari. «Ci sono editori molto attivi come il Filo che fanno pubblicità di concorsi che servono solo a proporre ai partecipanti una pubblicazione a pagamento. Il Filo ha oltre mille titoli l’anno. Ti rendi conto»? Ma dov’è il guadagno di un editore a pagamento? «L’autore deve comprare mettiamo 200 copie al prezzo di copertina di 12 euro. L’editore incassa 2400 euro e con i costi bassi del digitale ne spende un quarto per la stampa. Il resto è guadagno visto che gli editori spesso non stampano altre copie, anche se previsto dal contratto, non distribuiscono, non fanno editing. Persino la quarta di copertina se la deve scrivere l’autore!». Altra sigla che usa i concorsi-esca è Firenze Libri. Gli Aps abboccano.
Rincara la dose Beretta Mazzotta: «Ho sentito di tutto. Storie allucinanti. La nuova tendenza è offrire pacchetti completi, millantando interviste su televisioni satellitari e recensioni di critici conosciuti». Dietro al proliferare di editori e titoli c’è anche il fenomeno dello sfruttamento del manoscrittaro e altro ancora: «Oggi col computer chiunque si confeziona un libro da proporre urbi et orbi via e-mail. Se fossimo ancora alla macchina da scrivere, ci sarebbero meno aspiranti scrittori e più motivati. Per questo noi chiediamo che i manoscritti vengano mandati su carta non via e-mail».
La protesta, fatta propria dagli scrittori Elisabetta Bucciarelli, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini e dalla blogger Alessandra Buccheri di Angolo Nero, non vuole stroncare snobisticamente il dilettante allo sbaraglio. Solo l’invita a usare mezzi più contemporanei, non sprecare preziosa pecunia. Per stampare un libro non serve un editore a pagamento, basta una tipografia o un sito di self-publishing (come lulu.com o ilmiolibro.it) e costa molto meno. Poi c’è l’ipocrisia del linguaggio: si parla di «contributo» dove si vuole lucrare e basta. Spiega Linda Rando: in media «abbiamo una differenza di circa 1600 euro tra costo reale totale e contributo chiesto dall’editore: dove finiscono quei soldi? Perché vengono chiesti se non vengono spesi»? Altro che contributo!
«In questo modo l’aspirante scrittore resta scottato» dice Beretta Mazzotta. «Diventa diffidente, non vuole più investire su niente. Dopo essere stato munto in ogni modo. Ci sono editori che propongono una distribuzione mirata: ti chiedono dove vivono parenti e amici per mandare i libri nelle librerie dei dintorni! Ma spesso stampano solo le copie comprate dall’autore e le altre capita che marciscano in magazzino o non vedano mai la luce. Per pubblicare un libro non basta stamparlo. Quella è solo una fase e, se mancano tutte le altre, editing, distribuzione eccetera, tanto vale».
Avere pubblicato un libro a pagamento (negli Usa la chiamano Vanity press) conta così poco che il più importante premio riservato a chi non mai pubblicato nulla, il Calvino, non preclude la partecipazione agli Aps, solo invita a mettersi in contatto con la segreteria per chiarimenti. Qualcosa si muove su questo fronte. Si discute se vietare la pubblicazione agli Aps. Sì, ma come? Beretta Mazzotta propone di chiedere il contratto editoriale come requisito. Gli autori del Filo, per dire, hanno vinto il Bertolucci per la critica, il Pannunzio, il Soldati e altri premi ancora. All’Azzeccagarbugli, riservato ai gialli, nel 2006 Dario Falleti (non Faletti!) con Le virtù del cerchio (Il Filo) ha vinto per la categoria opere prime. Ma se il requisito per partecipare è avere un’opera pubblicata, aver pubblicato a pagamento non è come avere le carte truccate? Dall’altro lato se il libro è valido perché non premiarlo? Oltre che cornuti pure mazziati gli Aps? «Sì e poi i privati possono mettere le regole che vogliono, i pubblici no e noi siamo finanziati dalla provincia di Lecco, non possiamo discriminare nessuno» dice Paola Pioppi del Giorno, che si occupa degli aspetti tecnico-organizzativi dell’Azzeccagarbugli. «Ci siamo posti il problema e la soluzione non è facile». In teoria un Aps potrebbe partecipare allo Strega...
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