L'ultimo schiaffo all'Italia: non ha lavoro, via dal Belgio

La donna cacciata da Bruxelles perché disoccupata. E a novembre la retata dei laziali in Polonia. Tante parole e mai risultati, siamo sempre più deboli

L'ultimo schiaffo all'Italia: non ha lavoro, via dal Belgio

È l'ultimo schiaffo all'Italia. Una signora bolognese espulsa dal Belgio come una clandestina. Si chiama Silvia Guerra e non ha un'occupazione: per Bruxelles basta e avanza per costringerla a sloggiare senza tanti riguardi. Alla faccia dell'Europa unita. È l'ennesima figuraccia tricolore in giro per il mondo. Stiamo diventando collezionisti di situazioni imbarazzanti dentro la Ue e anche fuori. È la globalizzazione che non vorremmo o, più semplicemente, la controprova che Roma conta sempre meno. Ci illudevamo di essere una potenza, magari di seconda fascia, ma pur sempre rispettata. Oggi sappiamo che non è così. La vicenda principe, quella che purtroppo certifica la nostra fragilità sul piano internazionale, è quella dei marò: non vogliamo entrare nel merito della querelle, diciamo solo che il braccio di ferro fra Nuova Delhi e Roma va avanti da mesi e non si vede una soluzione all'orizzonte. Il dato più sconcertante, quasi surreale, è che i due marò furono accolti all'aeroporto di Fiumicino come trofei nazionali dall'allora premier Mario Monti. Sembrava una partita vinta, Roma aveva solennemente dichiarato che sarebbero rimasti in patria e invece no: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati rispediti in India come pacchi. E lì attendono pazienti che il processo stabilisca una volta per tutte se sono colpevoli o innocenti. La nostra reputazione, intanto, è a pezzi. Camminiamo sulle macerie e i giornali indiani, con un certo sadismo, offrono giorno per giorno dettagli nuovi. Compresa la simpatica notizia che la sentenza potrebbe portare in dono la condanna a morte. Con tutta la buona volontà, pare difficile immaginare Londra o Parigi che subiscono simili ricatti.
L'Italia è debole, sempre più debole. E pure il calcio mostra impietosamente la nostra inconsistenza. Non è che no si devono perseguire colpevoli, ci mancherebbe, ma pure la partita di Europa League diventa l'occasione per organizzare una retata tricolore. Ventidue tifosi della Lazio vengono fermati il 28 novembre scorso, poi comincia il rientro col contagocce. Sei ultrà sono ancora in cella. Il premier Enrico Letta si è interessato al caso, in piena crisi, ma non pare aver ottenuto un grande risultato.
Ad ogni crisi che si apre l'Italia risponde sempre con grande impegno, un fiume di parole, spiegazioni su spiegazioni. Poi, al dunque, i nostri leader politici, anche quelli tecnici che dovrebbero godere di grande credibilità almeno a Bruxelles mostrano pericolosamente i propri limiti: approssimazione. Incompetenza. Esperienza pari a zero.
Balbettii. Note diplomatiche. Riunioni su riunioni. Anche il dramma delle famiglie bloccate in Congo non si sblocca. Sono lì per portare a casa i loro figli adottivi, ma Kinshasa ha bloccato tutto. E la situazione si fa ogni giorno più insostenibile: per molti si profila una dolorosissima separazione. I genitori torneranno in Italia, i piccoli resteranno ad aspettarli in uno stanzone di orfanotrofio.
Parlare di sconfitte sarebbe riduttivo. Però anche in questa storia i nostri ministri sono andati all'arrembaggio, ma purtroppo non si è andati avanti di un centimetro. Il Congo ci maltratta. Come l'India. E, anche se in un contesto diverso, la Polonia. Del resto l'Italia è rimasta impantanata anche in Russia: Cristian D'Alessandro, l'attivista di Greenpeace, si è fatto due mesi di carcere prima di essere liberato.
E ora l'ultimo sfregio. Il Belgio fa partire il countodown per Silvia Guerra.

La motivazione è ruvida che più ruvida non si può: è senza lavoro, quindi è un peso per il welfare. E via con un codicillo che fa pezzi la libera circolazione dei cittadini europei. È l'ultimo prodotto del made in Italy, purtroppo di successo. Umiliazioni su umiliazioni.

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