Adesso è andato a fare surf sulle dune di sabbia di Jericoacoara, nel nord del Brasile. Un esercizio di tutto riposo in confronto all'anabasi cominciata nell'aprile 2011 e terminata lo scorso 31 luglio. Al colonnello dei carabinieri Maurizio Bortoletti, 47 anni, torinese, negli ultimi 16 mesi è toccato un incarico non meno impegnativo di quelli routinari per l'Arma, tipo scoprire assassini e catturare mafiosi: commissario straordinario dell'Azienda sanitaria locale di Salerno. Detto così, dice poco. Ma si dà il caso che questa Asl campana sia la più complessa d'Italia, abbia 8.300 dipendenti che costano 55 milioni di euro al mese solo di stipendi, conti 11 ospedali e fatturi 1,6 miliardi di euro l'anno, cioè poco meno di un terzo dei ricavi operativi di Trenitalia. E questo sarebbe ancora niente. Quando l'ufficiale dei carabinieri l'ha ereditata, perdeva 740.000 euro al giorno, con un deficit complessivo iscritto a bilancio pari a 1,58 miliardi di euro. Quando l'ha lasciata, l'avanzo di gestione del 2012 era pari a 11 milioni di euro.
Altro che spending review. Nella storia d'Italia il colonnello Bortoletti è il primo e unico esempio di risanamento dei conti pubblici manu militari. Ma senza sparare un solo colpo: «Non ho denunciato, sanzionato o rimosso nessuno, né ho minacciato di farlo. Ho semplicemente ripristinato la normalità funzionale». Lui la chiama «asciugatura dei costi». Potenza della divisa: in un anno e mezzo ha consentito un mancato spreco di circa 200 milioni di euro. Che sono pur sempre 387 e passa miliardi delle vecchie lire.
E sì che di storture all'apparenza degne d'interesse per la magistratura gliene sono capitate sott'occhio fino all'ultimo giorno. «Ricordo una delibera per l'acquisto di 9 televisori e di un videoproiettore per un reparto di oncoematologia. Totale: 9.000 euro più Iva. Non sapevo se ridere o se piangere, perché una tivù 36 pollici costa al massimo 350 euro e un videoproiettore di buona qualità 800, entrambi Iva inclusa. Per cui mi sono limitato a restituire la proposta di spesa al mittente con un post-it giallo su cui ho scritto: Forse in un ipermercato costano meno. E guardi che la pratica era perfetta, avevano rispettato tutte le procedure, fatto la gara e scelto l'offerta migliore fra quelle pervenute. Nessuna impostura. Solo un esasperato formalismo burocratico».
Sarà. Comunque i requisiti per smascherare chi non sa fare il proprio mestiere il colonnello Bortoletti li possiede tutti. Figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una maestra elementare, è entrato nell'Accademia militare di Modena e ha prestato giuramento a 18 anni. Dopodiché s'è laureato due volte: in giurisprudenza e in scienza dell'amministrazione. Prima di conseguire un master in gestione di impresa alla Business school di Bologna, s'è sciroppato la gavetta sul territorio: battaglione paracadutisti a Livorno, poi i trasferimenti a Bolzano, Adria, Vibo Valentia, Padova. Adesso insegna materie pubbliche e penali alla Scuola allievi carabinieri di Roma e sociologia della devianza alla Lumsa, sempre nella capitale, e all'Università di Catanzaro.
Bortoletti è stato collaboratore del vicecapo della polizia Luigi De Sena, quando nel 2008 fu nominato super prefetto di Reggio Calabria dopo l'assassinio di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale calabrese ucciso dalla 'ndrangheta. Dal 2008 al 2011 è stato anche consigliere del ministro Renato Brunetta per la lotta alla corruzione e in questa veste ha rappresentato l'Italia all'Ocse, al Consiglio d'Europa e all'Onu. La sua nomina a commissario straordinario per l'Asl di Salerno, firmata dal presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, fu suggerita dal deputato Edmondo Cirielli, primo firmatario della legge che nel 2005 modificò il codice penale ma che fu sconfessata dal suo autore a causa degli stravolgimenti apportati dal Parlamento. Cirielli, colonnello dei carabinieri in aspettativa, era compagno di banco di Bortoletti all'Accademia militare di Modena. E nella sua veste di presidente della Provincia di Salerno gli ha fatto da scudo in questi 16 mesi.
Missione compiuta. O interrotta?
«Continuata. La politica voleva tornare alla gestione ordinaria e dal 1° agosto ha nominato direttore generale Antonio Squillante. Un ex ufficiale dell'esercito, un manager bravissimo. Io a Salerno conoscevo tre persone in tutto. Il suo problema sarà mantenere l'indipendenza dai palazzi del potere. Un conto è ascoltare e decidere. Un altro conto è ascoltare i politici che ti dicono che cosa devi fare».
Perché entrò nell'Arma?
«Per seguire un compagno di liceo, Davide Valfrè. Se ne andò un mese dopo che ci avevano ammessi all'Accademia di Modena. Oggi fa l'imprenditore in Russia».
Il primo atto da commissario dell'Asl di Salerno qual è stato?
«Avevo studiato il caso sui giornali. Mi sono subito reso conto che narravano fatterelli. Dovevo cercare la ciccia. Ho detto al capo di gabinetto Marisa Caruana quali dati mi servivano. Ho ascoltato molto, guardato molto, taciuto tantissimo. Ero consapevole che gli ospedali non sono aziende come le altre, producono vita non cioccolatini, per cui devi correggerle senza fermarle. Dopo 15 giorni ho convocato i sette dirigenti apicali. Di sabato mattina».
Sacrilegio.
«Ci siamo messi a lavorare, insieme. Anche nei giorni festivi. Nessun sacrilegio, considerato che la media delle retribuzioni dei dirigenti è superiore a quella del direttore generale: 140.000 euro contro 126.000. Sono partito dal primo gradino: la posta. Arrivava da tutte le parti. Chiunque scriveva a chiunque, perché a nessuno era chiaro il proprio ruolo. Un disordine gestionale totale. I dirigenti non dirigevano. Si limitavano ad attuare ciò che gli veniva ordinato. Era un'azienda da rialfabetizzare amministrativamente».
Faccia un esempio concreto.
«In un anno il collegio sindacale aveva mosso 625 rilievi. Non erano serviti a nulla, non li avevano manco riscontrati, non esisteva traccia di una risposta. Li ho fatti informatizzare per oggetto e per materia. Oggi quando si fa una delibera, c'è l'obbligo di andarsi prima a vedere i rilievi su quel dato argomento, per non ripetere gli errori del passato. Ciononostante, nel 2011 sono pervenute alla mia firma 408 proposte deliberative di spesa che ho respinto perché inopportune, inutili, non motivate o diversamente affrontabili».
Il risanamento economico com'è avvenuto?
«Senza tagli lineari, senza risorse aggiuntive, senza chiudere nulla e a legislazione invariata. Ho valorizzato innanzitutto il magazzino, che era superiore, come costo in percentuale, a quello della Fiat. E ciò significava perdite per scadenza a causa di mancato utilizzo o utilizzo parziale di farmaci come i chemioterapici, che costano dai 500 ai 1.500 euro per una sola dose. Insomma, ho adottato il criterio del buon padre di famiglia. E poi in magazzino si fanno molte altre scoperte interessanti».
Tipo?
«Negli scantinati dell'ospedale di Oliveto Citra giacevano coperti di polvere, ma in perfetto stato, due incubatrici, due aspiratori medico-chirurgici, un ecocardiografo, due letti da parto, un monitor e un negatoscopio per radiografie. Ordinati per il reparto di ostetricia che nel frattempo era stato chiuso. Ma è capitato anche che nell'ospedale di Rocca d'Aspide si utilizzassero monitor per sala operatoria per i quali non era stata nemmeno conclusa la gara d'appalto».
Qualcuno avrà firmato l'acquisto di questo materiale e qualcun altro ne avrà avuto la responsabilità. Perché non ha denunciato entrambi?
«L'Asl era come un bancomat senza plafond dato in mano a un bambino. Ognuno andava a fare la spesa e portava a casa ciò che gli pareva. Tommaso Cottone, procuratore regionale della Corte dei conti, ha dichiarato che in Campania la gestione degli ospedali è talmente improvvisata da andare oltre la malafede. Guardi, sono arrivato alla conclusione che in certe situazioni un ladro avrebbe fatto meno danni. Chiunque chiedeva la qualsiasi, come dicono a Napoli. Una delle prime delibere d'acquisto di un piccolo nosocomio era per un numero di siringhe 40 volte superiore a quello del più grande ospedale del Salernitano».
Il Sud pullula di ospedali costruiti, attrezzati e mai aperti. Ce n'è uno anche nella sua Asl, mi pare, a Sarno. E poi Boscotrecase, Torre Annunziata, Scalea, Lampedusa... Stiamo parlando di 126 cattedrali nel deserto per le quali nessuno è mai stato perseguito.
«Se c'è una cosa che mi ha insegnato il prefetto De Sena a Reggio Calabria, è proprio il censimento delle opere inutilizzate, incomplete o interrotte. Oggi l'ospedale di Sarno funziona al 100 per cento, in ortopedia si opera persino nel week-end e la lista d'attesa s'è dimezzata».
In compenso teniamo aperto l'ospedale di Siderno che ha 15 posti letto.
«Nel Meridione molti medici fanno anche i politici. C'è un grosso conflitto d'interessi. Negli anni Novanta, a Sarno, su un Consiglio comunale di 23 eletti della Dc, 11 erano medici».
Col contenzioso legale come se l'è cavata?
«In un modo molto semplice: versando ai fornitori i soldi che prima la Asl sprecava in avvocati difensori nelle cause giudiziarie per mancato o ritardato pagamento. Stiamo parlando di spese legali per 75 milioni nel solo 2010, pari a circa un terzo dell'intera perdita annua. Aggiunga i benefici indiretti per la Procura di Salerno: da 9.000 decreti ingiuntivi siamo scesi a meno di 1.000. Prima la Asl pagava, quando andava bene, con 12 mesi di ritardo. Ora, invece, a luglio i farmacisti hanno ricevuto le competenze di giugno e i fornitori si sono visti saldare le fatture di aprile. Certo, non è stato facile metterci la faccia e obbligarli a credermi sulla parola».
Resta il fatto che il filo da sutura al Sud costa il triplo rispetto al Nord.
«Il discorso dei costi standard è complesso. In Calabria un caffè al bar si paga 60 centesimi; a Padova, dove lavora mia moglie, 1,20 euro. Ma poi un certo prodotto alimentare costa il doppio in Calabria, ammesso che lo si trovi. Il fatto è che lì la distribuzione è diversa. Lo stesso vale nel settore sanitario. Inoltre al Sud il rischio che le fatture non vengano saldate è assai più elevato. Ovvio che l'industria scarichi questo rischio sul prezzo finale. L'importante è che si adotti la trasparenza totale. Che è come il sole: un ottimo disinfettante».
Che c'era di opaco?
«Sto solo dicendo che il controllo diffuso dissuade dai comportamenti illeciti. Tutto ciò che nella Asl di Salerno ha valenza economica, oggi si può trovare sul suo sito in Internet. Prima di affidare una consulenza esterna a pagamento a Bortoletti o a Lorenzetto, un amministratore ci pensa su due volte se sa che il suo atto sarà di pubblico dominio».
Ha subìto minacce per la sua attività?
«No, di nessun tipo. E non ho mai preso precauzioni. Tranne una: dormivo nella caserma dei carabinieri di Salerno. Così nessuno poteva affermare d'avermi portato qualcosa, visto che gli accessi sono controllati».
So che ha studiato dai salesiani. San Giovanni Bosco che cosa avrebbe fatto al posto di San Gennaro per raddrizzare il Meridione?
«Avrebbe predicato coerenza e semplicità. La gente mi scriveva e io rispondevo a tutte le e-mail entro sera. Mi telefonavano medici, infermieri, sindacalisti per denunciare storture e io mi facevo trovare. Un comportamento lunare, per loro».
Che c'entra la politica con la sanità? Non dovrebbero essere i primari a gestire il budget dei loro reparti, stando nei limiti di spesa assegnati dalla Regione?
«Io responsabilizzerei l'intera filiera del budget, sino all'infermiere, chiamandolo a rispondere anche dei cerotti. Purtroppo l'Asl di Salerno, per non aver pensieri, prima del mio arrivo aveva addirittura soppresso il controllo di gestione».
Che cosa osta alla nomina di un carabiniere a commissario straordinario in ogni Asl decotta?
«Nulla. È solo una decisione politica».
Secondo lei perché l'Arma dei carabinieri figura, secondo l'Eurispes, al primo posto nella fiducia dei cittadini, col 75,8% dei consensi, davanti a Polizia di Stato (71,7%), Guardia di finanza (63,3%), presidenza della Repubblica (62,1%) e magistratura (36,8%)?
«Perché noi ci siamo quando serve. Gli italiani ci vogliono bene per questo».
Le dispiace che non le abbiano rinnovato l'incarico?
«Sono stati 16 mesi di stupore quotidiano.
(609. Continua)
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