Il Papa non prega per il Brasile. Perché il tifo è fede

Siparietto con la presidenta carioca che gli dona la maglia di Pelè

Il Papa non prega per il Brasile. Perché il tifo è fede

Il tifo è una questione di fede. Anche la fede può essere una questione di tifo. Prendete il signor Bergoglio che è diventato papa Francesco. Dicono a Rio de Janeiro: «L'elezione di Bergoglio è il primo successo argentino dal Mondiale del 1986. Dobbiamo avere fiducia, in Vaticano è arrivato uno che può parlare alla pari con Dio. Il primo provvedimento che ha preso: il gol di mano vale». Replicano a Buenos Aires: «La regina di Olanda è argentina, Messi è argentino, Maradona è argentino, Bergoglio è argentino e il Brasile? Partecipa».
Scherza con i fanti e lascia stare i santi o in odore di santità come il papa di Roma. In verità è lui per primo a giocare con il pallone, tifoso del San Lorenzo, parente di Enrique Omar Sivori, papa Francesco ha ricevuto nello studio presso l`Aula Paolo VI, la presidente del Brasile Dilma Rousseff, giunta a Roma per essere presente al Concistoro in cui sarà creato cardinale monsignor Orani Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro. Al termine del colloquio ha avuto luogo lo scambio dei doni: Dilma Rousseff ha offerto al Papa una maglia della nazionale brasiliana, quella con il numero 10, firmata da Pelè con la dedica: «A Papa Francesco con rispetto e ammirazionè» e un pallone firmato da Ronaldo: «Al Papa Francesco un grande abbraccio dall`amico Ronaldo». Insomma i brasiliani si sono portati avanti, con le preghiere. Francesco ha letto l'Eneide, si deve essere ricordato del timeo danaos et dona ferentes, qui al posto del cavallo di Troia ci sono una maglietta e un pallone, tutta roba brasilera che per un argentino è come chiedere a un bergamasco di tifare per il Brescia. Al tempo del mondiale del '78, sotto Videla, il popolo bairense cantava: que lindo, que lindo que va a ser, nos otros con la copa, Brasil con el cafè!. Bergoglio ha fatto intendere che le sue preghiere sono e saranno rivolte al popolo brasiliano, non alla seleçao verdeoro. Ma qui l'ex guerrigliera Roussef ha giocato la carta diplomatica: «Le chiedo almeno la neutralità». Bergoglio deve evitare l'incidente politico internazionale, ha tre mesi di tempo per concentrarsi sulla coppa del mondo di football. Sa che la fede non può essere distratta dal tifo ma sa anche che il tifo, se non ha fede, non è una cosa seria.
I fedeli dei trentadue Paesi in campo aspettano il miracolo. Una preghiera papale papale, nel vero senso, può significare un calcio di rigore, un salvataggio sulla linea, un gol all'ultimo secondo. Dipende da che parte Nostro Signore volterà il suo sguardo. L'Argentina ha già prelevato al bancomat del Paradiso, Diego Maradona ha ritirato il dovuto con la mano de Dios. Bergoglio, in quell'estate mondiale, non aveva nemmeno cinquant'anni e non poteva certo immaginare che la nazionale del suo Paese avrebbe poi vinto la coppa e che lui, trent'anni dopo, qualcosa meno, sarebbe diventato papa, depositario della fede. E del tifo. A Buenos Aires sanno da che parte tira il vento. E anche da che parte tira Messi. A Rio dovranno farsi una ragione. Dilma Rousseff ha ricevuto in dono una medaglia che raffigura l'Angelo della Pace. Fino al fischio di inizio.

Poi accadrà quello che accadrà ma con un terzo incomodo. Il pontefice emerito, Joseph Ratzinger, non è stato coinvolto nell'incontro di Roma. Benedetto XVI se ne ricorderà quando scenderà in campo la sua Germania. Andate in pace, la partita deve ancora incominciare.

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