Li chiamano neri ma li trattano da negri

Il titolo del Giornale sui fatti di Rosarno ha svegliato i fan del politicamente corretto. Entrati in agitazione per una parola, senza badare al contenuto. Quanto paternalismo di facciata...

Li chiamano neri ma li trattano da negri

Caro direttore, in quale divertente guaio ti sei cacciato, te lo scrivo da negro e frocio quale mi sento intimamente, e perché, in quanto scrittore, tutto questo coro di perbenisti della lingua non posso più sentirlo. Già che ci siamo perché non ricordiamo che il 7 giugno del 1930 il New York Times accettò di usare il termine «Negro» scritto con la maiuscola, rispondendo a un’istanza degli stessi negri o neri o niggers o afroamericani, offesi che lo si scrivesse con la minuscola, orgogliosi della propria etnia? Negli Stati Uniti, perfino in quelli di Obama, ancora ci si chiede quale termine usare, pullulano dibattiti e diatribe, e non c’è ancora accordo tra linguisti, giornalisti, gruppi etnici, movimenti politici e rompicoglioni vari. Ed è pure vero che perfino Agatha Christie dovette cambiare il suo Ten Little Niggers in Ten Little Indians. Tant’è che di solito, nel topos linguistico dell’apartheid popolare, si aggiungeva un aggettivo, «sporco negro», «sporco ebreo», eppure ebreo si usa serenamente, ma se lo dice un nazista è un insulto grave, quindi stupido è chi lo stupido fa e razzista è chi il razzista fa. Non si usi l’argomento che i negri sono una razza e gli ebrei no, zootecnicamente entrambi, come gli altri primati parlanti, appartengono alla razza umana, e con un 1,2 per cento di Dna differente saremmo tutti scimpanzé. Repubblica, l’Unità, Battista, e la stampa più fighettina e di sinistra e ben educata c’è cascata, come di regola, e da giorni tira in ballo perfino il Ku Klux Klan, anche se i tuoi titoli e i tuoi editoriali sui negri dicevano che i negri hanno ragione, sono trattati come schiavi, e i calabresi sono stronzi perché dovrebbero sparare ai mafiosi, e quindi non bisognava essere Walter Benjamin per capire la provocazione di usare «negri» proprio nel titolo. Ma la correttezza delle parole è un abitino morale firmato, un maquillage sulla lingua irrinunciabile, che mostra una totale mancanza di senso dell’ironia e di leggerezza, accompagnata da un’indignazione tutta di facciata, da signorine perbene e moralistiche. Come quando questi puristi linguistico-cromatici dicono «di colore» (e se non ti adegui ti correggono subito, durante una conversazione, ammonendoti «si dice di colore!», felici di averti colto in qualche fallo di arretratezza culturale), dimenticandosi che, di conseguenza, i bianchi sarebbero di «non colore», quindi la differenza cromatica sarebbe data per differenza negativa, come in religione, dove ci sono i credenti e gli atei (o peggio «non credenti», come i sordi «non udenti», come i ciechi «non vedenti»), ossia senza quel qualcosa, gli atei, di cui invece gli altri dovrebbero provare l’esistenza (altrimenti non ci sarebbe bisogno di «credere»: nessuno «crede» nel sole, nel sangue, nei batteri, o nella legge di gravità, ci sono e basta). E poi perché gli afroamericani sarebbero di colore, e gli indiani, i cinesi, i marocchini no, pur non essendo bianchi? Chi usa «di colore» significa che si considera l’unico modello non colorato, il modello standard, tranne quando va al mare per abbronzarsi, a quel punto diventa come Obama visto da Berlusconi, che a sua volta era quasi un negretto rispetto al grande Michael Jackson, al quale pure hanno rotto i coglioni perché si era «sbiancato», vuoi per malattia, vuoi per preferenza estetica, anche lì attaccato dai soliti moralisti e razzisti al contrario: un bianco si può abbronzare con lampade e spalmandosi di creme sui lettini, un negro o nero o black, volendo, non si può sbiancare altrimenti rinnega la propria razza. E però, proprio in questo nostro voler diventare neri, vuoi vedere che il termine più corretto l’ha trovato proprio papi, quando dette a Obama dell’«abbronzato»? Se d’estate al mare o d’inverno fuori da un solarium dici a una signora «Quanto sei bianca» suona come un’offesa. «Blacks» oltretutto da noi è «neri», che sono i fascisti, i quali cantavano «faccetta nera» mica «faccetta negra», mentre Faulkner usava nei suoi capolavori «negro» e prima ancora non si riesce proprio a immaginarsi una capanna dello Zio Tom piena di schiavi «di colore». D’altra parte non solo «terrone», basterebbe «napoletano» per insultare qualcuno («Sono italiani come noi»), come da Sud «un milanese di merda» sarà un insulto anche senza il complemento di specificazione se detto da un antinordista.
Il politicamente corretto ha prodotto disastri per anni (e anche nobili carriere di opinionisti della bontà espressiva), e il critico Robert Hughes al tema dedicò anni fa un esilarante saggio intitolato La cultura del piagnisteo, dove esprimeva la tesi secondo la quale: «Tutto è stupro, fino a prova contraria». Per essere politicamente corretti avremmo dovuto abolire anche le linee del tennis o le porte nel calcio, altrimenti anche la bravura diventa elitaria. Del resto anche dire che qualcuno è stupido, imbecille, cretino, deficiente, non si sa se sia un insulto o meno: se ci è nato, lo si sta offendendo facendogli una colpa della propria mancanza di cervello genetica, se invece ci fa, gli stiamo dando dell’intelligente. Si è scoperto che perfino la bellezza discrimina le brutte (chiamiamole quindi «differentemente belle»), un handicappato è diventato prima un «portatore di handicap», poi un «disabile», infine un «diversamente abile» (un’escalation che rivela l’intento ipocrita di voler attribuire una qualità al difetto, per cui saresti più abile a andare in sedia a rotelle rispetto a un privilegiato figlio di puttana che ancora cammina con le sue gambe). Invece Doctor House, che è un genio zoppo, si definisce «uno storpio» (come molti omosessuali si definiscono da soli «froci» e «checche», e Daniele Scalise tenne per anni una rubrica sul Foglio di Giuliano Ferrara intitolata «Froci», rubrica che Ferrara, prima che a Scalise, aveva proposto a me e io rifiutai perché, pur essendo frocio, ero anche negro e sbiancato alla Michael; Ferrara che tra l’altro, per la Guzzanti, Grillo e i satirici di sinistra, è uno sporco grassone, non un «diversamente magro»).

Così come non si può scegliere se scrivere «i trans» o «le trans», perché chi lo scrive al maschile è un razzista sessista di destra, sebbene non si capisca perché si debbano considerare femmine, perché allora cosa mai ci troverà di speciale chi va a trans anziché a donne? Bisognerà, coerentemente, anche declinare i genitali al femminile, e sicché le trans hanno una cazzo?

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