Cè una questione meridionale anche nella storia dItalia. Cresce dimportanza e dampiezza una lettura profondamente revisionista dellUnità: una lettura nella quale ai piemontesi viene imputato il crimine davere invaso - loro ultimi venuti dun regnicolo miserando - uno Stato prospero, fortemente industrializzato, civile, progredito: così stroncandone lascesa verso radiose mete. In questa rilettura Cavour è un intrigante, e Garibaldi un avventuriero se non un bandito. Trova posto, nella riabilitazione, anche il Sillabo di Pio IX: che poco ci manca sia indicato come un documento di progresso e di libertà. La pubblicistica che avalla queste tesi è abbondante e incessante.
Non mi riferisco qui a saggi spigliati che vogliono lietamente penetrare la psicologia e i costumi del Meridione. Ultimo venuto, tra essi, Sud di Marcello Veneziani (Mondadori), con il sottotitolo Un viaggio civile e sentimentale. Veneziani non è un revanscista meridionale. È piuttosto un indagatore intelligente sulluomo del Sud (ma anche altri grandi Paesi hanno il loro Sud, con peculiarità simili al Sud nostro). «Non devo nascondermi né correggermi - scrive Veneziani - per questo» (ossia per essere un uomo del Sud. «Non ci sono norme e paradigmi cui adeguarsi. Homo terronicus sum, et amo cumterronicos». Una dichiarazione daffetto alla propria terra e alla propria gente. Con notazioni brillanti, come quella che «in unindagine sullindice di felicità il Paese più felice al mondo risultava il Bangladesh \ ed è un Sud centuplicato».
Tuttaltra cosa dalla tolleranza di Veneziani è lorgoglio di quanti non solo accreditano al Regno del Sud lidentità che ebbe, ma lo pongono allavanguardia in ogni campo. Cosicché il Nord prevaricatore esce, dal confronto, umiliato. Recente proclama di questa fede borbonica è un volumetto di Felice Simonelli che ha un titolo asettico, Sulle origini del divario Nord-Sud in Italia (Guida) e un contenuto sanguigno. Eccolo in sintesi: «Il periodo borbonico fu per Napoli ed il Sud un periodo aureo». La gente viveva bene, la giustizia funzionava, le casse pubbliche ridondavano doro.
Per verità, in alcune pagine dello stesso Simonelli è facile trovare smentite a questo quadro idilliaco. Volendo addossare una ulteriore colpa ai garibaldini egli scrive che «in Sicilia la mafia non era ancora organizzata in maniera verticistica come appare ora. Si trattava per lo più di sgherri al soldo dei baroni e dei grandi proprietari terrieri siciliani che richiamano in mente i bravi di manzoniana memoria. Ebbene molti baroni inviarono questi loro uomini di fiducia in soccorso di Garibaldi». Ma allora in quel Paradiso cera la mafia, cera il latifondo, cerano i baroni prepotenti e gli sgherri criminali.
Le arringhe pro-Sud sono farcite di statistiche: attestanti come anche dal punto di vista industriale la Lombardia fosse robetta, in confronto a Napoli. Sorvolando disinvoltamente, quelle arringhe, su problemini culturali, sociali, politici non di poco conto. Come il fiorire e laffermarsi in Europa di nuovi principi di libertà, come le richieste di carte costituzionali (quando i Borboni le concessero obtorto collo sempre se le rimangiarono, non appena ne fu loro offerta loccasione), come laffacciarsi, dopo lancien régime, di un mondo nuovo.
Ma non minoltro su questo terreno. Mi limito a proporre, unennesima volta, un interrogativo. Nello stesso volgere di anni furono sradicati dalla Penisola due domini, laustriaco nel Lombardo-Veneto e il borbonico al Sud. Ancora oggi, dopo un secolo e mezzo, certe qualità di civismo, di rispetto della legge, di correttezza amministrativa del Lombardo-Veneto sono almeno in larga parte accreditate al lascito austriaco.
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