Cronaca locale

La mazzata dei magistrati "Punire Sala con 13 mesi"

Il pg chiede una condanna severa per il sindaco sul caso del verbale retrodatato per fare Expo

La mazzata dei magistrati "Punire Sala con 13 mesi"

Alla fine, a sette anni di distanza dai fatti, la Procura generale è finalmente convinta di avere capito chi fu a truccare materialmente i verbali che nel 2012 impedirono che la macchina di Expo si arenasse. «Verosimilmente - dice il pg Massimo Gaballo - la manina fu quella di Perez»: ovvero Pierpaolo Perez, direttore generale di Infrastrutture Lombarde, la società della Regione che fungeva da general contractor per i lavori dell'esposizione universale. Ma se la «manina» è stata individuata solo alla fine, la «manona» per la Procura generale era chiara fin dall'inizio, e il processo non ha fatto altro che confermare l'intuizione: quella di Giuseppe Sala, all'epoca «mr Expo», e oggi - sull'onda del successo dell'evento - sindaco di Milano.

Fu lui a dare l'ordine, dice Gaballo: e appoggia l'accusa su un mix di prove logiche e di dati di fatto che giustificano la condanna a un anno e un mese di carcere avanzata nei confronti del primo cittadino. La prova logica è il ruolo di vertice assoluto ricoperto da Sala in Expo, che rende inverosimile che una decisione delicata (e palesemente illegale) come il taroccamento dei verbali di nomina della commissione d'appalto per la piastra fosse stata presa a sua insaputa. La prova di fatto è la telefonata intercettata tra Perez, il presunto proprietario della «manina», e l'avvocato Carmen Leo, che per prima si era avveduta della incompatibilità di due membri della commissione. È il 30 maggio 2012.

P: «Han deciso i triumviri».

C: «I triumviri? (Ride) Cioè?».

P: «Sì, numero uno, numero due e numero tre han deciso. C'è stata la riunione stamattina e poi è arrivato il messaggero a portarmi la notizia».

Chi fossero i triumviri lo ha spiegato la stessa Leo, quando è stata interrogata in aula: «I triumviri era una locuzione che indicava tre persone il dottor Sala, l'ingegner Paris e l'ingegner Chiesa»: ovvero il futuro sindaco, il presidente della commissione d'appalto e il responsabile del procedimento per la «piastra», l'opera più importante di Expo.

Di fronte a una simile convergenza di prove logiche e di elementi concreti, si annuncia oggettivamente impervio il percorso che attende i difensori di Sala - Salvatore Scuto e Stefano Nespor - quando il tribunale darà loro la parola e dovranno convincere i giudici dell'innocenza del loro assistito. Finora uno dei temi forti della difesa del sindaco è che si trattò di un falso innocuo, avvenuto quando la gara d'appalto non era di fatto nemmeno iniziata. Su questo punto il pg Gaballo ha già fatto battaglia preventiva, spiegando che per la legge un falso è innocuo solo quando non rischia di ingannare nessuno, mentre il verbale truccato da Expo «offende la fiducia che la collettività ripone nella genuinità di atti e documenti di rilevanza pubblica».

Certo, in chiusura di requisitoria lo stesso accusatore riconosce l'«esiguo disvalore dei fatti» e per questo chiede che Sala e Paris vengano condannati al minimo della pena. Resta però assodato secondo l'accusa il ruolo decisivo (e decisionale) che il sindaco ebbe nella scelta. «Sala dice che si limitò a chiedere una celere soluzione disinteressandosi degli aspetti giuridici e che lui non controllava il contenuto degli atti che venivano portati alla sua firma perché si fidava dei suoi collaboratori».

Ma Sala «non è credibile laddove tenta di minimizzare il problema che invece era un problema grave dal momento che poteva potenzialmente pregiudicare la realizzazione dell'evento; né era necessario essere un giurista per capire i rischi di contenzioso amministrativo che potevano derivarne».

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