Benigni: meglio la Bibbia dei politici a Rebibbia

La regola più importante: non rubare. E al pubblico: felice di vedervi a piede libero

Benigni: meglio la Bibbia dei politici a Rebibbia

Libertà, amore, speranza. Sono state queste le parole più usate da Roberto Benigni nel suo trascinante monologo sui Dieci comandamenti, durante la prima delle due serate-evento previste su Raiuno (la seconda stasera). Un monologo travolgente di quasi due ore, anche struggente in alcuni momenti. Ma figuratevi se l'attore premio Oscar si faceva sfuggire l'occasione di tuffarsi nell'attualità quanto più perversamente stimolante, offerta dalle cronache di Mafia capitale. «Son contento di vedervi tutti a piede libero, siete gli unici rimasti qui a Roma», ha scherzato rivolto al pubblico presente al Palastudio di Cinecittà. «Comunque, abbiamo il permesso della Rai, della Questura e anche della Banda della Magliana. E quindi finalmente possiamo cominciare... Ehi, non ne hanno risparmiato nessuno dei comandamenti, sono riusciti a violarli tutti dieci... Non si salva più nessuno. Infatti Renzi è andato in Vaticano...».

Ma il comico toscano non si è fermato alla satira e alla denuncia del malcostume. «Finiamola di parlare della cronaca. Altrimenti, siamo venuti qui per parlare della Bibbia e finisce che parliamo di Rebibbia». Invece i dieci comandamenti parlano dei nostri sentimenti, dell'aldilà, della nostra domanda di infinito. Anche se un certo clericalismo ce la mette tutta per farcelo dimenticare: «La religione ce l'abbiamo radicata dentro: nemmeno certi preti, certi cardinali, sono riusciti a sradicarla».

Introdotto dalla musica circense che accompagna le sue apparizioni tv, nella scenografia in legno realizzata da Chiara e Gaetano Castelli, Benigni è parso subito in ottima forma, anche capace di momenti poetici, narrando di Mosè salvato dalle acque del Nilo, di Mosè balbuziente «perché Dio fa sempre cose grandi scegliendo le cose più piccole», dell'apparizione di Dio nel roveto ardente, del dono della manna.

Le Tavole della Legge affidate a Mosè sul Monte Sinai sono la testimonianza di un'alleanza entusiasmante tra Dio e il popolo ebraico. Come documenta già il primo comandamento: «Io sono il Signore Dio tuo», dove l'accento, la scossa, il sussulto, viene da quella parola finale, «tuo». Dio non vuole essere un Dio generico, astratto. Ma «Dio tuo. È qui che si rivela». Il Dio geloso. Dio innamorato di noi. Dio che vuole l'esclusiva: «Non avrai altro Dio all'infuori di me».

Ripetutamente applaudito, ieri Benigni ha illustrato i primi tre comandamenti, parlando di Dio come di un fratello, un amico intimo, un essere innamorato. Un evento irripetibile per la televisione italiana. Si nutra simpatia o no per l'attore toscano, e aldilà delle polemiche sui cachet milionari (comunque ammortizzati dagli introiti pubblicitari), bisogna riconoscerne il coraggio.

Dopo la lettura della Divina commedia , dopo l'esegesi dell'Inno di Mameli e dei primi dodici articoli della Costituzione, con le due serate dedicate al Decalogo di Mosè prosegue una sorta di videoteca originale dei grandi classici. Ma stavolta l'asticella si è alzata parecchio. Non a caso, a inizio serata, aveva scherzato: «Stasera o mi arrestano per vilipendio della religione. Oppure mi fanno cardinale».

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