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Berlusconi, Meloni, Salvini e Fitto insieme: «Noi l'unica coalizione che garantisce un governo forte e stabile» L'ok sul nome per Palazzo Chigi

Anna Maria Greco

Roma La foto c'è: i leader del centrodestra lanciano insieme l'ultimo appello elettorale dal Tempio di Adriano. «Vincerà l'unica coalizione che può garantire un governo forte e stabile, quella del centrodestra, formata da questi 4 eroi della libertà e della democrazia...». È il leader azzurro il mattatore dell'incontro romano, sta al centro del palco, prende le mani degli alleati Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Raffaele Fitto, le unisce davanti a sé in un giuramento che ricorda i moschettieri di Dumas: mai ad un tavolo con il Pd, né con il M5S, dopo il voto.

Il leader di Forza Italia lo riassume, per tutti: «Ci prendiamo l'impegno assoluto di non aprirci a grandi coalizioni, a non fare inciuci con altri partiti, anche se non raggiungeremo la maggioranza. I loro programmi sono incompatibili con i nostri. Sto parlando della sinistra e dei 5 Stelle. Abbiamo preso un impegno con gli elettori e lo manterremo». La leader di Fdi, Giorgia Meloni suggerisce il nome, «il patto di pietra», dopo quello «dell'arancino» in Sicilia per la vittoria di novembre, perché il tempio dell'imperatore romano si affaccia su piazza di Pietra, affollata di fans che non sono riusciti ad entrare.

Qualche gag non manca, con il Cavaliere che deterge la fronte a Salvini, quando dice: «Sono stanco, dopo tutti questi comizi, non vedo l'ora di cominciare a lavorare e non per i prossimi 5 anni, ma per i prossimi 10 di governo. Il Pd prenderà una batosta che si ricorderà». La sala esplode in applausi, ogni leader ha la sua claque, quella di Berlusconi continua a ritmare «Silvio, Silvio, Silvio». Lui ripete che c'è «grandissima collaborazione, con normali momenti di diversità», che è garantita la « lealtà assoluta» di ognuno, per una «rivoluzione» che cancellerà «il male» dei governi di sinistra, l'insicurezza peggiore di quella del dopoguerra.

«Siamo uniti dal programma comune - dice Raffaele Fitto, leader di Noi con l'Italia-Udc -, e le nostre differenze sono un arricchimento». Sì, aggiunge il leader della Lega, come nel suo comizio milanese, ma «prima viene il Vangelo».

È sempre Berlusconi a distribuire le carte, presenta gli altri, dà la parola, scherza, li interrompe, s'inserisce nel discorso per dire la sua. C'è qualche siparietto con Salvini, in cui si rettificano a vicenda. Il Cavaliere annuncia come primo decreto legge di un possibile governo di centrodestra, l'azzeramento delle tasse alle imprese che assumono giovani e il leader del Carroccio dice che «il primo atto sarà abolire la legge Fornero, un caso umano, non politico». Abolire, sottolinea. Quando il leghista attacca con il suo cavallo di battaglia della legittima difesa («con la legge del Pd si ha diritto a difendersi solo di notte, di giorno invece chi vuole può entrarti in casa»), Berlusconi mette in ridicolo le modalità che giustificano una reazione: «Devo chiedere al ladro se la pistola è carica, se vuole fare del male alla mia famiglia? Il primo dovere dello Stato è difendere i cittadini. E quando ti trovi qualcuno in casa lo Stato ha già fallito». Salvini torna al microfono, alza tono, prosegue sull'invasione di immigrati, sui ricongiungimenti familiari, poi dice: «La Lega sarà fondamentale per la vittoria del centrodestra, come forza trainante, che ha scelto di unire il Paese, nel nome dell'autonomia». Poche ore prima, a Mattino5, sulla premiership sembra aprire la porta al presidente azzurro dell'Europarlamento: «Se prende più voti Fi - riconosce - il presidente del consiglio lo farà Antonio Tajani».

Quando tocca alla Meloni, l'ex premier elogia l'unica donna dell'alleanza, «tanto attiva come ministro del mio governo». Lei si libera della veste di brava discepola e si riprende quella da leader: «O vincerà il centrodestra o sarà il caos e un altro governo da sudditi».

L'altra foto è con il candidato governatore del centrodestra nel Lazio, Stefano Parisi, che fa il segno della vittoria con le dita a «V». «Torno ora da Amatrice - dice - , dove sono stato con Guido Bertolaso. Tutto è rimasto com'era dopo il terremoto, macerie ovunque. Per Renzi le cose non dovevano andare come all'Aquila, ma lì noi abbiamo ricostruito e riorganizzato in pochi mesi, mentre qui al posto di Bertolaso c'è Cantone, che ha bloccato tutto». Il leader azzurro gli dà la sua laica benedizione: «Se governasse la sinistra nel Lazio rimarremmo nell'immobilismo, se ci fossero i 5 Stelle avremmo la decadenza che vediamo a Roma. Parisi ha la competenza di un manager affermato e la Regione è un'azienda complessa. In bocca al lupo!». Sono passate quasi 2 ore, è il momento di chiudere, ma il Cav torna all'attacco sulla Flat tax, vuol dire tutto quello che in tv non gli fanno dire. Soprattutto, che le coperture sono «altissime», dati alla mano.

Così, è sua l'ultima parola per tutti: «Siate missionari della libertà e portate voti».

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