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Gentiloni snobba le richieste di verifica Pisapia vuol già fuggire

Niente confronto Pd-Mdp. L'ex sindaco stufo dei corteggiamenti. Bersani stoppa D'Alema

Gentiloni snobba le richieste di verifica Pisapia vuol già fuggire

«M a quale verifica». A Palazzo Chigi liquidano così la richiesta (molto Prima Repubblica) arrivata da varie parti della maggioranza.

Prima i renziani, che hanno chiesto di «verificare» che ci stiano a fare in maggioranza gli scissionisti bersanian-dalemiani, che votano quasi sempre con le opposizioni (vedi caso Consip). Poi gli stessi scissionisti. L'ex segretario Pd poi scissionista ex Pd Bersani lamenta che «quando arriva un problema serio o una questione difficile da affrontare», nessuno nella maggioranza e nel governo voglia (comprensibilmente) parlarne con lui e i suoi accoliti di Mdp. «Nessuno ha mai voluto sapere cosa ne pensa il nostro gruppo o il sottoscritto», si duole Bersani, che chiede una verifica «perché così almeno dovranno sentire anche noi». E intanto, annuncia, i gruppi Mdp si «unificheranno» con quelli di Giuliano Pisapia, ossia con Bruno Tabacci, unico rappresentante doc dell'ex sindaco in Parlamento.

Il lamento di Bersani però sembra destinato a rimanere inascoltato: «Tempo fa, un incontro con i capigruppo di Mdp Gentiloni lo ha pure fatto», ricordano dall'entourage del premier. Peccato sia servito a poco: «Un gruppo parlamentare che si dice di maggioranza ma una volta su tre vota contro il governo è bislacco. Noi andiamo avanti, abbiamo ben altro a cui pensare e le lamentazioni di Gotor non sono in cima alla nostra lista di priorità». E del resto, ricordano, Mdp non è neppure presente nel Consiglio dei ministri, avendo solo un vice-ministro.

Gentiloni però sa bene che i prossimi mesi non saranno una passeggiata di salute, per il suo governo. Ad ottobre, quando si arriverà alla sessione di bilancio, l'esecutivo diventerà il punching-ball di tutti i partitini che, archiviato il timore delle urne, si scateneranno nell'assalto alla diligenza. E nell'assalto, in particolare da sinistra, al Pd di Matteo Renzi. È il leader dem il vero motore immobile di tutte le convulsioni in corso nel cosiddetto «cantiere» del centrosinistra. Il povero Pisapia, che si vorrebbe proporre come federatore di un rassemblement «ulivista», rischia di essere vittima dello scontro fratricida tra chi pensa che la sinistra non possa fare a meno del Pd, e dunque di Renzi, e chi pensa che possa nascere solo contro il Pd renziano, per ucciderlo.

Sul primo fronte c'è un Romano Prodi che si annoia assai in pensione e quindi si dà un gran daffare in politica (con l'ottimistico obiettivo, dicono i maligni, di costruirsi una costituency per il Quirinale, quando sarà il momento di sostituire Mattarella, e lui avrà appena 83 anni). Ieri - dopo Renzi, Letta e Pisapia - Prodi ha incontrato anche il ministro «moderato» Calenda, per parlare di «rete di centrosinistra da costruire». Sul secondo fronte ci sono Bersani e D'Alema, divisi tra loro al punto che Bersani è disposto a dire che non si candiderà (in quale lista non si sa) pur di non far candidare D'Alema che invece ambisce a tornare sulla tolda del Parlamento, ma che almeno sono d'accordo sul fatto di vietare a Pisapia l'alleanza col Pd, caldeggiata invece da Prodi. Ma anche Sinistra italiana, il Partito della Rifondazione comunista (esiste ancora), i Comunisti di Marco Rizzo e gli animatori della kermesse del Brancaccio, che però a loro volta odiano Bersani e D'Alema e non vogliono averci nulla a che fare, ma non vogliono avere a che fare neppure tra di loro. Un bailamme infernale, che sta mettendo a dura prova i nervi di Pisapia: l'ex sindaco di Milano, raccontano, non si fa trovare al telefono da nessuno. Non da Luca Lotti, che lo cercherebbe per conto di Renzi su spinta di Prodi, né dai pasdaran antirenziani. E starebbe meditando sulla saggezza di imbarcarsi in una simile impresa.

Gettando nel panico chi, come Gianni Cuperlo e Andrea Orlando, vede nella zattera Pisapia l'occasione per uscire dal Pd senza ritrovarsi in birreria con Bersani.

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