New York Donald Trump e Theresa May consacrano il sodalizio tra le due sponde dell'Atlantico, e i due vecchi Paesi «cugini» tornano ad essere più vicini che mai. Una versione rinnovata della storica special relationship che ebbe con Ronald Reagan e Margaret Thatcher il suo punto più alto. May è stata la prima leader straniera a fare il suo ingresso nella Casa Bianca della nuova gestione, e ha ricambiato la gentilezza invitando il presidente Usa e la first lady Melania nel Regno Unito per una visita ufficiale. «Le relazioni tra Washington e Londra non sono mai state più forti», ha detto Trump durante la conferenza stampa congiunta a Pennsylvania Avenue, ricordando il «rapporto speciale» che lega le due Nazioni. «Ci saranno dei punti su cui non saremo d'accordo, ma la cosa fondamentale è che dialoghiamo», ha affermato da parte sua May, sottolineando: «Dobbiamo ridare prosperità ai nostri popoli». Quindi ha ribadito il suo impegno con la Nato, spiegando che anche Trump «ha confermato di essere al 100% a favore dell'Alleanza Atlantica». I due leader hanno discusso di lotta all'Isis e di economia, in particolare di future cooperazioni e accordi commerciali, oltre a passi pratici per permettere alle aziende di fare affari più facilmente, soprattutto quando la Gran Bretagna uscirà dall'Ue. «La Brexit sarà una cosa fantastica per il Regno Unito - ha chiosato The Donald -. Un grande asset, non un peso».
L'unica divergenza tra i due è emersa sul tema delle sanzioni alla Russia: secondo il presidente Usa è «troppo presto per parlarne». Mentre per la premier inglese la premessa per eliminare le misure restrittive è la piena attuazione degli accordi di Minsk seguiti alla crisi dell'Ucraina. E oggi nell'agenda di Trump c'è proprio una telefonata con il leader del Cremlino Vladimir Putin, oltre che con il presidente francese François Hollande e con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Intanto procede la stretta sull'immigrazione del tycoon, che ha dato luce verde ad un'azione esecutiva per fermare temporaneamente il flusso dei rifugiati negli Stati Uniti e impedire l'ingresso da alcuni Paesi a maggioranza musulmana. Il tutto mentre infuria la polemica sul muro anti-clandestini al confine con il Messico. Dopo la decisione di cancellare l'incontro in programma a Washington martedì prossimo tra il tycoon e l'omologo Enrique Peña Nieto, i due hanno parlato per un'ora al telefono. Un colloquio «molto buono», ha spiegato il re del mattone, pur insistendo sulla necessità del muro poiché il confine è debole e permeabile al traffico di droga. E ribadendo di volere la revisione del Nafta: nel commercio, ha precisato, quel Paese «ci ha ridotto a poltiglia». A tentare di mediare tra i due c'è il magnate messicano delle telecomunicazioni Carlos Slim, che in una rarissima conferenza stampa si è detto pronto ad aiutare il governo a negoziare con Trump. Poche ore prima, il ministro degli esteri messicano, Luis Videgaray, a DC per incontri con l'amministrazione Trump, ha confermato l'intenzione del suo Paese di «mantenere una collaborazione al più alto livello con l'America», pur ribadendo che non intende pagare per il muro. Si tratta di «una questione di orgoglio e dignità», ha detto, e dunque «non è negoziabile».
Mentre sulla possibilità citata ieri dal portavoce della Casa Bianca di imporre una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico per pagare la costruzione del muro, Videgaray ha spiegato che «questo non significa fare pagare il muro al Messico, ma piuttosto farlo pagare ai consumatori americani, ai quali costeranno più care le televisioni, le lavatrici o gli avocado».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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