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Pd, Renzi tenta di evitare la scissione: non lasciamo l'opposizione al Cav

L'ex segretario non vuole arrivare alla conta su Martina Ma la spaccatura sarà inevitabile. L'ombra di Zingaretti

Pd, Renzi tenta di evitare la scissione: non lasciamo l'opposizione al Cav

Roma È possibile che nella notte si trovi un accomodamento che eviti lo scontro: «Neppure noi possiamo essere così cretini da spaccarci proprio mentre vanno al governo due partiti eversivi e Berlusconi, intelligentemente, prende la bandiera dell'opposizione democratica», sospira un esponente Pd. Ma il punto di rottura non è mai stato così vicino. E mai il fronte variopinto che va da Cuperlo a Franceschini, da Orlando a Fassino passando per il reggente Martina, ha visto cosi vicino l'obiettivo di liberarsi di Matteo Renzi.

Oggi si apre una tesissima Assemblea nazionale all'Ergife di Roma, e i tentativi di mediazione sono andati avanti fino all'alba. I renziani vorrebbero rinviare dilanianti rese dei conti: «Sarebbe incomprensibile una conta interna proprio mentre i nostri avversari, Lega e Cinquestelle fan votare il programma di governo: nessuno fuori di qui ci capirebbe», spiegava ieri Matteo Renzi. Così, il segretario uscente ha provato a offrire un compromesso alla fronda interna: Martina può restare reggente, senza chiedere voti di fiducia per essere promosso a segretario (il che comporterebbe l'azzeramento di tutti i precedenti equilibri), e la scelta se indire o no un congresso per l'autunno verrebbe rinviata d una nuova assemblea, tra qualche mese. In cambio, il leader dimissionario ha messo sul piatto la disponibilità a rinunciare al proprio intervento, che aveva mandato su tutte le furie i suoi avversari: un'introduzione di Renzi (che prometteva fuochi d'artificio polemici) avrebbe spostato l'asse politico del dibattito, e inevitabilmente oscurato le velleità di leadership di Martina. Ma, in un susseguirsi di riunioni e contatti, i martiniani hanno tenuto duro: «Non vogliamo unanimismi di facciata», annunciava bellicoso Cuperlo, spiegando che è necessario dare una «legittimazione» al reggente. Dunque un voto, dunque una conta: segno che i numeri interni non sono più quelli pre-elettorali, e che la maggioranza renziana, un tempo blindata, ora può essere erosa. Cosa che sa anche Renzi, altrimenti non avrebbe cercato una mediazione. A sostenere la quale sono però scesi in campo tutti i big, a cominciare dal premier Paolo Gentiloni e da molti ministri di peso, da Marco Minniti a Valeria Fedeli. Tutti preoccupati dai danni irreversibili che un'implosione del Pd ora provocherebbe.

Che però un'implosione ci sarà comunque, nel prossimo futuro, sono in molti a darlo per scontato. A sinistra c'è chi immagina, nel futuro congresso, uno scontro diretto tra Nicola Zingaretti, a nome della sinistra, e lo stesso Renzi: «E chi perde se ne va dal partito, per poi magari allearsi giocando a due punte». Ma anche in casa renziana non si esclude la separazione: «Ormai è ora di fare chiarezza - dice Davide Faraone -. Nell'assemblea di oggi sarebbe un errore, ma nel congresso sarà necessario dividersi tra chi non si rende conto che il mondo è cambiato e ancora insegue cose che non esistono più, come nuovi Ulivi e inutili alleanze con i cocci di Leu, e chi vuole costruire un'alternativa democratica ai populisti, a livello europeo».

È lo stesso discorso macroniano che fa, ad esempio, il sottosegretario Gozi auspicando una sorta di En Marche! italiano, che lasci al proprio destino i nostalgici di una sinistra ormai fuori dalla storia.

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