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"Lo sbaglio del governo è l'equidistanza. È perso il ruolo di partner principale"

Il presidente FederPetroli: "Ci sono 60 miliardi di risorse inesplorate"

"Lo sbaglio del governo è l'equidistanza. È perso il ruolo di partner principale"

Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli, non ha peli sulla lingua nell'intervista al Giornale sul disastro libico e l'impatto sui nostri interessi nazionali.

In Libia è in corso una guerra anche per il controllo delle risorse energetiche?

«Non solo, ma in questo momento la Libia conserva ancora 60 miliardi di barili di riserve inesplorate sia di petrolio che di gas. Le risorse energetiche del paese sono ancora tutte da sfruttare. L'obiettivo di altre nazioni è l'ingresso nei processi di gestione dei giacimenti petroliferi e le enormi riserve nel centro-sud del paese. Per anni il partner di fiducia dei libici è sempre stata l'Italia. Purtroppo, grazie al conflitto, i livelli di produzione prima della caduta di Gheddafi del 2011 non sono stati più raggiunti».

L'Italia nella crisi libica rischia il fuori gioco con un impatto negativo sull'Eni?

«Il tentativo di destabilizzare la presenza italiana è evidente, ma Eni non si tocca. In una situazione caotica come quella libica c'è il rischio che si possa sfociare in nazionalizzazioni, che ci danneggerebbero pesantemente. E poi esiste il pericolo concreto che Russia, Turchia o Francia, attori principali nella crisi, vogliano scalzare la nostra compagnia nazionale».

Il tentativo della pax dello «zar» Putin e del «sultano» Erdogan riguarda anche gli interessi comuni sui gasdotti?

«Mosca sostiene una fazione (il generale Khalifa Haftar nda) e la Turchia l'altra (il governo di Fayez el Serraj nda). Sul campo di battaglia libico sembrano apparentemente in conflitto, ma sono amici a casa loro a tal punto che hanno appena inaugurato il gasdotto TurkStream, che bypassa l'Ucraina. Il progetto più importante e strategico in Europa. Quindi mi sembra evidente che abbiano un interesse comune sulle risorse energetiche in Libia».

Tripoli e Ankara hanno siglato un discusso accordo militare, ma anche marittimo, che amplia le pretese turche su una vasta area del Mediterraneo. È un problema per noi?

«La Turchia che rivendica diritti petroliferi e si mette da traverso è un problema perchè l'Eni ha già dato il via allo sfruttamento off shore davanti a Tripoli con piattaforme nelle acque libiche. E la faccenda riguarda anche Cipro».

Se non si raggiungesse un accordo stabile la Libia potrebbe dividersi fra Tripolitania con il gas da una parte e Cirenaica con il petrolio dall'altra?

«La separazione con l'accetta è impossibile a causa delle infrastrutture. Ci perderebbero entrambi. E non sarebbe certo un nostro interesse nazionale».

Pensa che la conferenza di Berlino può avere successo?

«La sede della conferenza è già un errore perché doveva tenersi a Roma. Anche se Haftar firmasse a forza l'accordo, al primo intoppo salterebbe tutto. I libici, in realtà, vogliono un maggiore coinvolgimento dell'Italia, non dell'Europa. Conte sta facendo il giro delle sette chiese nel Mediterraneo per ottenere qualche riconoscimento.

Sforzo apprezzabile, ma fino ad oggi la linea diplomatica di equidistanza in Libia non ha pagato relegandoci ai margini e facendo perdere all'Italia il ruolo di partner principale».

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