Senato, governo senza numeri L'ira di Grasso scavalcato dal Pd

Democratici e Ncd divisi ma Renzi vuole accelerare l'iter della riforma La sfida del presidente di Palazzo Madama: "I tempi li decido io"

Senato, governo senza numeri L'ira di Grasso scavalcato dal Pd

«Basta chiacchiere, se ci avvitiamo in una eterna trattativa senza costrutto ci logoriamo. È ora di votare la riforma, e ognuno si assumerà le sue responsabilità». Il colpo di acceleratore sulla riforma del Senato Matteo Renzi lo ha deciso tre giorni fa, e ieri è stato concretizzato.

Al termine dell'ennesima riunione pressoché inutile del «tavolo» che cercava una mediazione nel Pd, tavolo abbandonato dalla minoranza Pd al grido di «non ci danno retta», Anna Finocchiaro ha convocato la Commissione Affari costituzionali e ha dichiarato inammissibili gli emendamenti all'articolo 2, quello che esclude l'elezione diretta dei futuri senatori. Poi la presidenza del gruppo Pd di Palazzo Madama ha annunciato di aver chiesto la convocazione della conferenza dei capigruppo per mettere all'ordine del giorno dell'aula l'esame del ddl Boschi. Il presidente del Senato Pietro Grasso, già inviperito per le parole di Renzi a Otto e mezzo sulla eventuale rimessa in discussione dell'articolo 2 («Decide il presidente Grasso. Io mi aspetto che la riforma passi. Come si possa cambiare idea per la terza volta è un problema che riguarda il presidente del Senato») ha colto la palla al balzo per restituire pan per focaccia, dettando alle agenzie un comunicato assai piccato: «Finché resta in vigore questo regolamento, a convocare la conferenza dei capigruppo dovrà essere solo il presidente del Senato e non altri». In suo soccorso sono subito arrivati i 5 Stelle, accusando il Pd di «deformare non solo la Costituzione ma anche i regolamenti».

Il capogruppo Pd Zanda ha replicato seccamente di essersi limitato a chiedere, a nome della maggioranza, la convocazione della conferenza, come da regolamento. Non potendogliela negare, Grasso si è però tolto la soddisfazione di fare un dispetto al Pd, convocandola più tardi possibile: oggi alle 15. Mentre la speranza dei renziani era di farla in mattinata, in modo da poter mandare il ddl in aula già domani.

L'umor nero del presidente del Senato si spiega anche con il punto fermo messo ieri da Anna Finocchiaro, che rischia di condizionare assai le decisioni di Grasso. La senatrice Pd infatti ha messo nero su bianco che la riapertura agli emendamenti dell'articolo 2, che spetta in ultima istanza a lui, sarebbe una grave forzatura, e lo ha accuratamente motivato in punta di diritto, sottolineando che in questa fase non possono essere sottoposte a modifiche «le parti del testo approvate in doppia deliberazione conforme» da Camera e Senato. Non, quindi, la questione dell'elettività, già vagliata due volte. Un precedente pesante con cui Grasso dovrà fare i conti, col rischio - se deciderà di contraddirlo - di aprire uno scontro istituzionale con la presidente della prima commissione. Senza contare che ieri è intervenuto anche l'ex presidente Giorgio Napolitano, ricordando che la non elettività dei senatori è «un pilastro della riforma» e dando sostanzialmente ragione alla Finocchiaro.

Renzi ha dunque deciso di andare alla conta in aula, sfidando sia la minoranza Pd che il presidente del Senato, e convinto che «alla fine i numeri ci saranno». Anche perché, mette in chiaro, nel caso non ci fossero «non resterò a bagnomaria: non ci sarà nessun Renzi bis», ma si andrà dritti al voto, e chi non ha voluto le riforme «se ne prenderà la responsabilità».

Il conto che si fa, nel Pd, è che giunta al redde rationem la fronda interna si dividerà, e i pezzi di maggioranza in subbuglio torneranno nei ranghi. A cominciare da Ncd: ieri Gaetano Quagliariello ha presentato una proposta di nuova legge elettorale, col premio alla coalizione anziché alla lista. Nel Pd minimizzano: «È solo un modo per tenere buoni i loro».

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