Economia

Lo spread stabile a 300 danneggia le industrie

Chi ha mutui pagherà di più il denaro ricevuto

Lo spread stabile a 300 danneggia le industrie

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Lo spread stabile a 300 danneggia le industrie

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Roma - Cosa succede, nella vita di tutti i giorni, quando si deve convivere con uno spread stabilmente sopra i 300 punti di differenzia nel rendimento tra i nostri titoli di Stato e tedeschi? Qualcosa cambia. E non in positivo. L'ufficio studi della Cgia di Mestre ha appena pubblicato i risultati di una sua elaborazione matematica che dimostra come uno spread alto renda difficile la vita delle imprese. La Cgia ha analizzato sia la situazione di liquidità delle aziende sia il peso dei titoli di Stato e il numero di mutui per l'acquisto della casa in capo alle nostre famiglie. Se circa la metà delle imprese italiane (2,5 milioni) ha all'attivo 680 miliardi di euro di prestiti bancari (al mese di giugno di quest'anno), per contro, solo il 9,3 % delle famiglie (pari a 2,4 milioni) sta pagando un mutuo per l'acquisto della prima casa e un altro 6,1% (pari a 1,6 milioni di nuclei) ha nel portafoglio titoli di Stato.

Sulla base dei dati della Banca d'Italia (aggiornati al 31 dicembre 2017) si evince che l'ammontare dei Bot e dei Cct/Btp in possesso delle famiglie è di 300 miliardi di euro, mentre l'indebitamento per mutui collegati all'acquisto dell'abitazione ammonta a circa 340 miliardi di euro. Per il coordinatore dell'Ufficio studi, Paolo Zabeo, i più esposti in termini assoluti sono quindi gli imprenditori che si troveranno a pagare di più il denaro già ricevuto in prestito dalle banche e in prospettiva avranno meno credito a disposizione, perché per gli istituti di credito sarà più difficile erogarlo. «In questi ultimi anni - afferma il Segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason - è sceso drasticamente il credito alle imprese. Dal 2011 allo scorso mese di giugno, a esempio, la contrazione è stata di quasi 249 miliardi. In parte ciò è dovuto alla diminuzione della domanda e all'aumento delle sofferenze generate dalla crisi, ma le ragioni principali vanno imputate all'applicazione di regole e parametri sul credito imposti agli istituti di credito dalla Bce, dalla legislazione europea e italiana, che si sono dimostrati fuori dalla realtà.

Senza banche, spiegano alla Cgia, non si può fare economia, soprattutto in Italia. Il nostro Paese, infatti, è costituito quasi solo da piccole e micro imprese tradizionalmente sottocapitalizzate e a corto di liquidità. Il 98% delle imprese, infatti, ha meno di 20 addetti. Pertanto, il ruolo degli istituti di credito rimane centrale sia per dare ossigeno all'intero sistema sia per creare le condizioni per rilanciare con forza la situazione economica che sta rallentando paurosamente.

La Cgia, infatti, segnala che negli ultimi anni è aumentata a dismisura nei bilanci delle banche l'incidenza delle commissioni nette (costi per tenuta conto corrente, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l'intermediazione e il collocamento titoli, etc.) sui ricavi dei crediti. Ormai la percentuale raggiunta si aggira attorno al 40%, livello non riscontrabile in nessun altro paese europeo.

Significa che una parte sempre maggiore del fatturato delle banche è riconducibile ad attività di puro servizio. RRo

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