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Trattati di Roma, i Paesi firmatari sono ancora europeisti?

Ecco lo stato di salute dei sei Paesi firmatari dei Trattati di Roma: Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo

Trattati di Roma, i Paesi firmatari sono ancora europeisti?

Era il 25 marzo 1957 quando Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo firmarono i Trattati di Roma con cui si dava vita alla CEE, la Comunità Economica Europea.

Da allora sono passati 60 anni e la Cee, col tempo, è diventata l’Ue, un’unione di 27 Paesi membri legati tra loro principalmente dall’euro e dall’abbattimento delle frontiere. Due fattori che vivono un momento di crisi e contestazione. Già adesso soltanto 19 Paesi su 27 adottano l’euro e il 28esimo, il Regno Unito, sta trattando la sua uscita dall’Unione, dopo la vittoria della Brexit. I Paesi dell’Est, Ungheria in primis, mettono in discussione le politiche d’integrazione dei profughi siriani e degli immigrati, mentre da più parti si parla di rivedere la libera circolazione dei cittadini europei, stabilita con gli accordi di Schengen. Chissà cosa penserebbero Antonio Segni, Konrad Adenauer e gli altri capi di governo firmatari dei Trattati se vedessero come si sta infrangendo il loro sogno europeo e di quanta poca stima goda l’Europa all’interno dei loro Paesi?

Partiamo dall’Italia. Secondo i dati di un sondaggio da Renato Mannheimer, patner dall'istituto Eumetra-Monterosa, pubblicato su Affaritaliani.it, la fiducia degli italiani sulle istituzioni europee è calato dal 40% del 2012 all’odierno 34%. Nel 2000 era all’80% e la possibilità di uscire dall’euro è vista con favore dal 40% degli intervistati. I ‘movimenti euroscettici’, come vengono chiamati a Bruxelles, godono di ampi consensi. Se si votasse domani il Movimento Cinquestelle arriverebbe al 32%, mentre il Pd, complice la scissione, si fermerebbe al 27%, mentre la Lega Nord di Matteo Salvini è stabile attorno al 13% e Fratelli d’Italia viaggia sul 4,5%. È pur vero che i grillini, a Bruxelles, un giorno stanno nel gruppo con l’Ukip di Nigel Farage, che ha fatto campagna elettorale per la Brexit, e il giorno dopo vogliono entrare nell’Alde dei liberaldemocratici, salvo, poi, ripensarci di fronte a un loro diniego. Nonostante questo, però, non si possono certamente dichiarare amanti della Merkel e delle sue politiche d’austerità.

A dir la verità nemmeno la Germania della Cancelliera Angela Merkel se la passa troppo bene. Anzi, proprio qui, l’Afd, il movimento euroscettico ‘Alternativa per la Germania’ ha preso piede nel giro di soli 4 anni e, alle elezioni politiche del prossimo 24 settembre, rischia di entrare nuovo Bundestag raddoppiando, così, i voti ottenuti nel 2013. Allora, l’Afd, appena nata, si fermò al 4,7% mancando l’ingresso nel parlamento tedesco per lo 0,3%, ma alle ultime elezioni regionali ha ottenuto risultati notevoli, soprattutto in Sassonia (24,2%) e nel land di Berlino (14%). Stando ai sondaggi, a settembre, dovrebbe ottenere almeno il 10% dei consensi.

Chi, invece, ‘rischia’ fortemente di vincere le Presidenziali in Francia è Marine Le Pen. La leader del Front National, secondo tutti i sondaggi, al primo turno dovrebbe superare il 30% per, poi, vedersela, al ballottaggio contro il socialiberale come Emanuel Macron, l’ex ministro dell’Economia del Psf che si candida col suo partito filoeuropeista, En Marche! Una vittoria della Le Pen, secondo molti osservatori, segnerebbe la fine dell’Europa e il trionfo dei movimenti ‘sovranisti’. “Con me la Francia sarà fuori dall’euro e dall’Europa”, ha ribadito più volte il leader della destra nazionalista francese.

Nei Paesi Bassi gli europeisti hanno tirato un sospiro di sollievo dopo la riconferma del premier conservatore Mark Rutte ma il principale avversario, l’antieuropeista Geert Wilders, grazie al 15% dei consensi del suo partito, il Pvv, ha gridato alla vittoria. “Abbiamo guadagnato dei seggi! È una prima vittoria! Non ho ancora finito con Rutte!”, ha twittato, quasi a dire: non vi libererete facilmente di noi. Il Belgio, invece, è ancora sconvolto dall’attentato del 22 marzo dell’anno scorso con cui i terroristi islamici hanno colpito l’aeroporto della capitale Bruxelles e la metropolitana di Maalbeek, causando 35 morti. Ma a preoccupare è anche la fragilità delle sue istituzioni in un contesto sempre più multietnico e nel quale i belgi vivono praticamente da separati in casa, divisi tra valloni e fiamminghi.

Il Lussemburgo, forte di un’economia stabile e delle sue piccole dimensioni, è senza dubbio il Paese che sta meglio. Ma ci si può accontentare del Lussemburgo?

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