Non è un'intervista. È una confessione. Il racconto schietto di un campione che svela cosa sta dietro il sogno di una medaglia olimpica. "Gli appassionati non sanno come viviamo, cosa affrontiamo, quanti sacrifici dobbiamo fare. Noi a volte proviamo anche a dirlo, ma bisogna venire e vedere. Bisogna essere qui mentre ci alleniamo per capire veramente".
Siamo qui, Gregorio.
"È davvero dura. Snervante. Siamo sempre sotto stress e poi con il Moro (Stefano Morini, l'allenatore di Paltrinieri e Gabriele Detti), che reputo uno dei più grandi tecnici al mondo, credimi, è dura, senza mezzi termini. Pensa che quando gli altri vengono qui al Centro federale di Ostia ad allenarsi negli stage, poi ci dicono: Ma come fate tu e Gabri e Nico (Nicolangelo Di Fabio, annotate il nome per il futuro, ndr)? È impossibile mantenere un regime così alto di allenamento ogni giorno. Il Moro non dà pause. Ad ogni sessione l'obiettivo è dare il massimo. Mattina e pomeriggio, 18 km, 9 a seduta. E con il Moro di più. Poi ci sfondano in palestra".
Adesso pausa pranzo... Però mangia, Gregorio.
"Si, tra una domanda e l'altra".
Stamane a bordo vasca il Moro si è girato e ha detto: C'è chi pagherebbe per vedere quello che stanno facendo. Greg, cosa stavate facendo?
"4 minuti e 5 sui 400, 1 minuto e 1 sui 100. In aerobica sono passi molto forti. Anche perché fatti in serie di 4 km. Ma quella credo sia sempre stata la mia caratteristica: cioè di allenarmi molto forte. Sono convinto di essere il più forte al mondo in allenamento".
Da due anni anche in gara.
"Non penso sia un caso. Non credo ci siano altri che riuscirebbero a reggere questi lavori. Lo stesso Gabri (Gabriele Detti, ndr), lo stesso Sun Yang (il cinese rivale di sempre, recordman mondiale e campione olimpico in carica, ndr), l'atleta che tutti aspettiamo a Rio per vedere il confronto. L'anno scorso sono andato in Australia ad allenarmi e c'era Mack Horton (l'altro rivale, ndr), un ragazzo promettente, giovane. Gli davo 30''".
Solo sacrificio e allenamento?
"No, è una mia caratteristica. Sono molto resistente, galleggio bene, e così ho la possibilità di tenere una velocità alta. Perché passi di 1 minuto e 1 ai 100 per 4000 metri, ti assicuro che non li fa nessuno al mondo. Ed è proprio vero: altri tecnici pagherebbero per venire a vedere e capire come è fatto l'allenamento del Moro".
Sei esploso con Morini.
"Da Carpi sono venuto qui a Ostia nel 2011. Avevo 16 anni. A casa stavo bene, ero forte, vincevo nelle mie categorie. Diciamo che io e Gabri ci dividevamo le vittorie. Lui però sempre spostato di più sulle distanze corte dove - hai visto? - ora si sta togliendo grandi soddisfazioni. Nel 2011 ci hanno proposto di venire qui dal Moro e io e Gabri ci siamo guardati e detti: Alleniamoci insieme, siamo primo e secondo in Italia, magari non diventeremo mai dei campioni, dei Rosolino, però proviamoci".
E il salto di qualità è arrivato subito?
"Sì. Nuotando tanto con il Moro e facendo palestra seria (il preparatore atletico è Marco Lancissi, ndr), il miglioramento è stato netto".
Prima c'era Gabriele fermo a metà rampa di scale. "Non ne ho più per salire ha detto, sono morto...".
"Anch'io. Sempre. Oggi palestra e nuoto al mattino. È tanto. Dopo simili allenamenti verrebbe solo di andare a letto. A volte ci metto 5 minuti ad uscire dall'acqua, non riesco a salire sul muretto. Abbiamo 5-6 sei ore tra un allenamento e l'altro, ma non sono abbastanza per recuperare. Così iniziamo la sessione del pomeriggio, altri 9 km, che siamo ancora stanchi dal mattino. È così ogni giorno. Arrivi a fine settimana che sei morto. E il Moro ci calca su questa cosa, lui vuole proprio farci stancare, vuole che il primo allenamento condizioni il secondo, perché arrivare allo stremo delle energie è allenante".
E in gara funziona.
"Ti aiuta nelle situazioni critiche, quando non ne hai più e l'avversario ti sta addosso. Mi rendo conto che soffrendo così in allenamento poi, nel pieno della competizione, sono più abituato di altri alla fatica. Diciamo che quando arrivo alla gara ne ho già passate così tante che poi alla fine sono solo 1500 m, 30 vasche, 14 minuti di nuoto, mica 18 km come in allenamento".
In effetti dopo le gare non dai l'idea di essere distrutto. Che rapporto hai con la fatica?
"Mi piace".
Come si può dire che la fatica piace?
"È sempre stato così, fin da piccolo. La fatica mi gratifica, mi fa capire che sto facendo bene. Sono molto esigente con me stesso. Forse esagero. Sono perfezionista. Ogni giorno mi dico voglio allenarmi e spaccare e migliorare. E mi fa stare bene vedere poi che sto facendo esattamente quello che mi ero prefissato. E quando non va bene come avrei voluto, la gratificazione arriva dalla fatica, dalla certezza quel giorno di averci provato, di aver dato tutto quello che avevo, sapendo che in futuro mi servirà".
Ieri pomeriggio a bordo vasca c'era la tua fidanzata. Da fuori si pensa che il ritiro sia una galera. Invece...
"Guarda, noi facciamo 20 km al giorno di nuoto. Se poi qui dovessimo vivere come in galera, sarebbe davvero troppo stressante".
Letizia ha detto: siamo una coppia. Se lo fossimo a Carpi, ci vedremmo spesso o magari vivremmo insieme. Greg lavora qui, la sua casa è qui e quando vengo a trovarlo questa diventa la nostra casa.
"Sì, sì assolutamente. Ci siamo messi insieme dopo Londra 2012, ma ci conosciamo fin da ragazzini. Eravamo compagni al liceo. Lei, con i miei genitori, è la persona che più mi conosce. Ha vissuto tutto di me. E mi ha aiutato veramente tanto. Letizia è fondamentale nel mantenermi tranquillo. È molto solare, sempre contenta di fare quello che fa, gioiosa. Stare con lei mi ha tranquillizzato. E poi è completamente fuori dal mondo del nuoto, fa tutt'altro. Sarebbe snervante pensare e parlare 24 ore al giorno di nuoto".
Farà la volontaria in un ospedale in Messico.
"Sì, è partita stamane. Poi, fra qualche settimana, verrà direttamente a Rio. È sempre stata brava a scuola, aveva due anni che già diceva di voler fare medicina. Prende tutti 30. Davvero, l'impegno che mette lei nello studio è paragonabile al mio nello sport...".
Ma a casa ci torni ogni tanto?
"Amo tornarci. E il Moro nel tempo ha imparato a capirlo. Quando sono arrivato qui a 16 anni era più simile a come pensavi tu...".
Una galera?
"Il senso era: adesso sei qui, sei sotto le mani della Federazione, noi ti coccoliamo in tutto per tutto, ti diamo l'allenatore, il preparatore, il nutrizionista, hai tutto e a tutto pensiamo noi. Però poi sono cresciuto. E ho capito di avere bisogno dei miei spazi. Ce li ho. Li abbiamo anche qua. Ma io ho proprio bisogno di tornare a casa. Di rivedere i miei genitori e i miei amici. E questa è una cosa che poi, spiegandola pian piano al Moro, lui ha capito. Per cui, ora, spesso, durante l'anno, torno a casa... Mi basta dire ehi Moro, io non ce la faccio più a stare qui. E lui mi dà l'ok. Parto il giovedì e il lunedì sono di nuovo a Ostia. Si fida di me. Anche perché non sono un cazzone che va a casa e per tre sere su tre finisce in discoteca e non si allena. Il mio ex tecnico a Carpi mi conosce, è in contatto con il Moro, e io mi alleno anche lì".
Si sta parlando tanto di doping. Come vive un atleta i controlli?
"Nel nuoto sono il più controllato al mondo. Sono tre anni di fila che vinco questa classifica. Nei periodi di gara mi controllano anche due volte a settimana. L'anno scorso ai mondiali di Kazan, nelle due settimane, mi hanno controllato sette volte. Sette prelievi urina e sangue da 2-3 boccette di sangue. Sono un'enormità. Fanno 20 flaconcini. E se nelle settimane di gara mi tolgono litri di sangue, io che gareggio sulle distanze lunghe vengo danneggiato. Cioè: controllami quanto vuoi, ma non ogni 2-3 giorni mentre gareggio. Mi sono sentito spossato nel pieno dei mondiali e nel momento in cui avrei voluto essere al massimo della forma".
Quando mangiate, quando bevete non pensate mai che se uno vi volesse male è un attimo mettere delle sostanze dopanti e rovinarvi?
"Ci penso. E spero sempre non accada. E comunque sto attento".
In che modo?
"Non bevo mai, neppure alle gare, da bottigliette mezze aperte o di altri. Anzi, tengo sempre vicina la mia o la consegno al Moro. Tanto meno la dimentico sul blocco che poi magari, chissà, passa qualcuno e ci butta dentro qualcosa...".
Però fuori, nei ristoranti, nel tempo libero...
"Ah, lì non hai difese. Non posso andare in cucina e dire ehi ragazzi fatemi controllare gli ingredienti... Speri sempre che non accada nulla... Sì, quel pensiero ce l'hai addosso. Anche perché magari non è che qualcuno ti vuole male, semplicemente ti ritrovi a mangiare carne riempita di anabolizzanti".
Ora ti è passata la fame?
"No, beh, dai. Alla fine ti fidi. L'accusa di doping sarebbe l'accusa più brutta. Che vergogna. Preferirei arrivare ottavo in finale con sette dopati davanti...".
La pressione, Greg. Tutta Italia ti aspetta a Rio. Come ci convivi?
"Il grande passo in avanti l'ho compiuto ai mondiali di Kazan (oro nei 1500 sl, argento negli 800, ndr). Se la pressione avvertita lì mi fosse arrivata addosso solo un anno prima, sarei andato in tilt. Invece no. Media a parte, pensa che là ho incrociato persone che mi incitavano dicendo oh, guarda che ho scommesso su di te, sei in forma, c'è Sun Yang ma si vede che sei più forte, forza, ci conto, non sbagliare.... Ma porca miseria...!"
Non ci credo.
Sì, sì, in quella vigilia sentivo questi discorsi e a furia di ascoltare quelle certezze erano diventate anche le mie. Fatto sta, poi il cinese non si presenta in finale, così un minuto prima della gara perdo il mio riferimento. E con lui anche l'unica scusante che avrei potuto usare in caso di sconfitta. E mi ritrovo oppresso da tremila sensazioni e con gli altri che sentono aria di podio e non hanno nulla da perdere. Io invece ho tutto da perdere. Così sballo la strategia, nuoto da schifo e ai 750 mi sento morire, non ne ho più. Ma è lì che faccio il grande salto rispetto al passato. Perché la seconda parte l'ho nuotata malissimo ma spinto dalla rabbia e della voglia di vincere. E ora sono campione del mondo".
Per cui, a Rio, il 14 agosto?
"Fin qui ho solo pensato a come costruire il miglior risultato possibile. E fino a che non sarò in gara non penserò alle attese del Paese. Voi, adesso, lasciatemi finire di preparare. Io faccio quello che so fare e alla fine vi dirò che la preparazione è andata bene o è andata male, che ho perso di un centesimo, che l'altro è stato più bravo e complimenti a lui, oppure che ho vinto e sono contento... Noi atleti non siamo robot.
Leggiamo, siamo informati, sappiamo che c'è un Paese dietro che spera. Ma è sport. Non deve diventare una questione di vita o di morte. Lo facciamo per divertirci. Per cui, sì, darò il massimo per vincere. Però, nell'attesa, voi fidatevi di me".
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