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"Il mio Mondiale? Le emozioni date a chi non credeva in me"

Dovi e la Ducati ci provano. Jorge non li aiuta, Andrea cade ma lo assolve: «Macchè occasione persa, nel 2018 vedrete...»

"Il mio Mondiale? Le emozioni date a chi non credeva in me"

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato a Valencia

Strana gente quella del motomondo. A volte capita d'incrociare nel paddock un pilota che ha appena perso il mondiale eppure sembra un vincitore sereno. Come successo ieri all'imbrunire con quel tipo basso di statura e gli occhi grandi e lo sguardo da cucciolo che s'aggirava dicendo «nonostante Marquez ci provi ogni volta a complicarsi la vita, non avevo il passo per vincere». Il pilota si chiama Andrea Dovizioso. Ha trentuno anni, una figlia e «finalmente non sono più un numero» dice con gli occhi lucidi dopo che un lungo e caldo applauso lo scorta al passaggio. «Vi ringrazio» aggiunge guardando tutti dritto negli occhi, «perché mi accorgo che siete sinceri». Poco distante da lui c'è il compagno Jorge Lorenzo. È al centro di una polemica infuocata per aver ignorato i messaggi del box Ducati che gli chiedevano di cedere strada al Dovi. «È vero» lo assolve Andrea, «non mi ha fatto passare ma se ci fosse stato il modo di essere utile mi avrebbe dato certamente una mano». Pompiere? Neppure per idea. Semplicemente schietto. Come sempre. «È stato addirittura meglio non superarlo perché mi ha permesso di guidare fluido e seguirlo. Lui è così preciso e pulito, io non ci riuscivo, e mi ha aiutato ad usare le energie nel modo migliore per fare tempi costanti. E visto che di finire terzo non mi importava, ho poi rischiato e... È finita nella ghiaia con la gomma ormai andata. Ma va bene così».

Strana gente quella del motomondo. Ci sono piloti che cadono ma non cadono come Marquez e altri che finiscono a terra e chiudono il loro campionato e però sorridono e restano soddisfatti. Come il Dovi. «Sì, sono sereno» si apre in un sorriso. «Sapevamo tutti quanto fosse difficile e io, qui, adesso, non sono venuto a parlare di un mondiale perso, ma per celebrare un mondiale che noi della Ducati abbiamo portato fino all'ultima gara». È questo il suo trionfo. Suo e degli uomini della Rossa «perché adesso gli altri dovranno avere paura di noi», si lascia andare il papà di queste moto, l'ingegnere Gigi Dall'Igna.

Strana gente quella del motomondo. All'improvviso, dopo oltre dieci anni di corse non solo si scopre che anche chi aveva fin qui trascorso una vita sportiva da mediano è un fuoriclasse, ma che per di più è un signore, un leader, un uomo guida per il team. «Mi accorgo che la gente mi guarda ora in modo diverso», confessa Andrea. «Ed è bello scoprirlo a 31 anni. Perché so bene che fino ad oggi, io, per l'opinione pubblica ero solo un numero in moto. Però io non sono un numero. E l'ho dimostrato». Per questo non c'è aria di sconfitta attorno a lui. Girano semmai un po' le scatole ai capi Ducati per il niet di Lorenzo che li costringe a dire «i nostri erano solo suggerimenti, ripetuti perché alla fine decide sempre il pilota». Ma l'assist del Dovi che ha addirittura assolto il compagno è per il team un gancio in mezzo al cielo. La riprova che l'uomo che tutti credevano un numero due, o peggio, è invece un leader.

Strana gente nel motomondo. Un team assume e paga oltre dieci milioni di euro a stagione il fuoriclasse spagnolo, Dovizioso è costretto a ridursi lo stipendio pur di restare in squadra, rapporto più o meno di uno a dieci, e cosa succede? Succede che Andrea diventa leader e prende per mano il team nei fatti e nelle parole. Sa di favola. «È per questo che vi dico che con questo mondiale non ho perso l'occasione della vita. Chi lo pensa è ignorante, forse un po' stupido. Quest'anno ho buttato giù i miei muri personali capendo di poter fare molto di più. Ma da solo non si va da nessuna parte e ringrazio la Ducati, i ragazzi, qui e a casa. Il 2018 non ci spaventa, abbiamo le idee chiare su cosa serve per evitare passi falsi come in Australia. Ora abbiamo la consapevolezza di noi stessi». Gli dicono dei complimenti di Marc, che dice di aver imparato da lui. «Parole così da un pluricampione riempiono di gioia», si emoziona, «la stessa che provo nel leggere gli sms che anche alla vigilia mi arrivavano da colleghi e rivali. Mi fa piacere avere un bel rapporto con tutti. So di aver emozionato la gente.

Soprattutto chi non credeva in me».

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