«Agli ultrà dico: giù le mani da Gaetano»

Mariella Scirea ha trascorso a Pinzolo, sede del ritiro della Juventus, quasi una settimana: salutata e coccolata come se in campo ci fosse andata lei e non suo marito, vincitore con la Signora di sette scudetti e tutte le coppe di club, oltre che campione del mondo nel 1982. Poi, il 3 settembre 1989, un assurdo incidente automobilistico in Polonia stroncò la vita e i sogni del 36enne «Gai», nel frattempo diventato vice allenatore di Zoff, naturalmente alla Juve.
Non la stupisce mai tutto questo affetto che la circonda?
«Un po’ sì, ma non troppo. La gente ha bisogno di riconoscersi in esempi positivi. Gaetano lo è stato per tanti anni e non solo per chi tifava bianconero: è bello toccare con mano che in tanti non ne hanno dimenticato l’onestà intellettuale e sportiva».
La cosa non le mette soggezione?
«A volte. Come quando pochi giorni fa, durante la presentazione in piazza del libro “Cercando Scirea” (scritto da Gianluca Iovine, ndr), ho sentito davvero la vicinanza di centinaia di persone. C’erano anche i Bravi Ragazzi (gruppo ultras del tifo bianconero, ndr): proprio non me l’aspettavo».
Ecco, a proposito: la curva Sud dell’Olimpico di Torino porta il nome «Scirea» e lo scorso anno si è resa protagonista di insulti razzisti che ne hanno anche determinato la chiusura. Qual è il suo pensiero sul tifo ultras?
«Con le frange estreme del tifo serve dialogare, altrimenti non si ottiene nulla. Alcune norme potrebbero anche essere riviste, magari coinvolgendo gli stessi tifosi. Poi, però, le regole vanno fatte rispettare e non mandate in soffitta dopo pochi mesi».
Tra poche settimane entrerà in vigore la tessera del tifoso: le premesse non sono delle migliori.
«Onestamente, la tessera sa un po’ di schedatura e capisco possa infastidire. Però il problema della violenza negli stadi va affrontato e risolto: può essere un inizio e io dico che vale la pena provare».
E se la curva Scirea si comportasse come fino a pochi mesi fa?
«Su questo sono molto netta: parlerei con la società e le chiederei di togliere il nome: mio marito non merita una curva violenta. Con gli ultras ho fatto parecchi incontri e credo mi abbiano ascoltato. Il nome di Gaetano comporta responsabilità: se faranno orecchie da mercante, ne trarremo le conseguenze».
Quanto manca, al calcio d’oggi, una figura pulita come quella di suo marito, capace di unire oltre la maglia?
«Non mi piace esprimere giudizi così trancianti. Del Piero è comunque un ragazzo splendido che si è sempre posto nel modo migliore dentro e fuori dal campo. E, dal punto di vista personale, è sempre stato vicino a me e a mio figlio Riccardo».
Cosa pensa del ritorno in società di un Agnelli?
«Tutto il bene possibile, perché è giusto che ci sia qualcuno che conosca davvero la storia della Juventus. Non basta, però: il mio consiglio è che in società ci sia anche almeno un grande ex, come lo sono stati prima Tardelli e poi Bettega. Penso a Zoff, che però potrebbe fare bene anche al Coni per ridare credibilità al calcio italiano. La gente ha bisogno di sentirsi legata a una storia importante: io rappresento il passato glorioso, ma non ho mai giocato nella Juve».
Del Neri che effetto le fa?
«Ottimo. È un allenatore vecchia maniera, capace di usare bastone e carota. Può restituire fiducia a chi l’aveva persa. La Juve di quest’anno mi pare assomigli a una neonata: dovrà muovere i suoi primi passi, che però dovranno essere subito forti e sicuri».
Si aspettava che Ferrara fallisse e desse poi degli «asini» ai calciatori?
«No. Voglio bene a Ciro e so che quelle se le ha dette in un momento di rabbia. La Juve, che pure lo ha difeso fino a quando ha potuto, ha sbagliato nel responsabilizzarlo troppo senza rendersi conto che aveva bisogno di un supporto tecnico. Forse Ciro si aspettava qualcosa in più dai suoi ex compagni di squadra: la realtà è che nessuno gli ha remato contro, ma in pochi hanno dato quello che avrebbero voluto. Ci sono momenti in cui va tutto bene e altri no».
In cosa è diverso il calcio d’oggi da quello di Gaetano?
«È cambiato tutto. Le società sono società per azioni, la maggior parte dei giocatori è professionista nel senso monetario del termine. Si vorrebbe che i figli diventassero calciatori e le figlie veline per farle poi sposare i calciatori. Gaetano mi ha fatto invece amare il suo lavoro e la passione per quello che faceva: lui davvero si emozionava quando si lasciava alle spalle il tunnel degli spogliatoi e nelle serate di Coppa vedeva il Comunale strapieno di gente. E quando io gli dicevo di andare da Boniperti per chiedergli un aumento, lui mi diceva che aveva già tutto: “Accontentiamoci”, mi rispondeva».
È vero che rifiutò le migliori offerte pur di rimanere juventino?
«Assolutamente. Trapattoni avrebbe fatto carte false per portarlo all’Inter, idem la Roma e la Lazio. Con un’altra maglia addosso, però, proprio non si vedeva: ricordo che quando Tardelli passò all’Inter, noi eravamo in vacanza a Capri e lui rimase quasi scioccato nel vedere la foto di Marco vestito di nerazzurro».
Quanto le dispiace che la società non abbia mai ritirato la maglia numero 6 di Gaetano?
«Anni fa avrebbe avuto un senso, adesso il momento è passato: farlo dopo ventuno anni avrebbe il sapore del rattoppo.

A me e a Riccardo, sposatosi pochi mesi fa, va bene così: sappiamo quanto è stato grande “Gay” e non c’è bisogno d’altro. L’importante è il rispetto che ci viene dimostrato e l’affetto di cui ci sentiamo circondati ogni giorno".

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