da Venezia
Si muove ondivago, sul finire della Prima guerra mondiale, Campo di battaglia di Gianni Amelio, primo film italiano applaudito in concorso. Si concentra su due ufficiali medici, amici da piccoli, il tenente che di nome fa Giulio e ha il volto di Alessandro Borghi e il capitano Stefano interpretato da Gabriel Montesi. Lavorano nello stesso ospedale militare dove ogni giorno arrivano dal fronte i feriti più gravi che parlano tutti i dialetti italiani. Mentre i morti li vediamo accatastati, in un'incisiva sequenza iniziale, in piccoli collinette dalle quale sbuca anche un braccio di chi è ancora vivo o è un morto vivente. Poi il film si apre a un'infermiera, Anna (Federica Rossellini), che i due hanno conosciuto a Medicina dove lei però è stata osteggiata perché donna con i voti più alti di tutti. Un triangolo che, dal punto di vista narrativo, non apre a ipotesi amorose ma che serve a rendere più incisiva la domanda fondamentale che il film vuole portare avanti: «È più giusto salvare una vita dalla guerra o rompere l'integrità di un corpo sano?», sintetizza lo sceneggiatore Alberto Taraglio che, con lo stesso regista, si è liberamente ispirato al libro La sfida di Carlo Patriarca (Neri Pozza). Perché molti ammalati si aggravano improvvisamente come se ci fosse qualcuno che, di proposito, provocasse delle complicazioni ai soldati feriti che l'intransigente capitano medico Stefano rimanderebbe invece subito al fronte. «Parliamo della relatività di ciò che è giusto e sbagliato dice Alessandro Borghi che interpreta invece il tenente il mio personaggio sembra il buono del film per la scelta del suo metodo di andare contro la guerra. Ma queste sue azioni che io, come Alessandro Borghi, non avrei mai fatto, sono solo buone?».
Prodotto da Simone Gattoni, Marco Bellocchio, Beppe Caschetto, Bruno Benatti con Rai Cinema, Campo di battaglia, in uscita il 5 settembre, per Gianni Amelio è «più che un film di guerra, un film sulla guerra» e, aggiungiamo noi, senza guerra: «È una scelta precisa continua il regista le immagini di guerra sono oggi così usurate che sembrano irreali. Tutti i giorni le vediamo nei tg, immagini di morte che provocano un'assuefazione incredibile alla guerra. Quindi c'è molta più guerra nel mio film che in uno proprio di guerra».
Sulla questione però della coincidenza di un film che parla di guerra, ma anche delle conseguenze della pandemia della spagnola che fece lo stesso numero dei morti militari in battaglia tra i civili, soprattutto piccoli e piccolissimi, il regista vuole essere chiaro: «Io non inseguo l'oggi o il contemporaneo nei miei film. O scelgo un argomento perché magari tira. Di questo ne ho iniziato a parlare molti anni fa perché io non penso ma sento nelle viscere le cose». E nel farlo racconta anche che spesso cambia all'ultimo momento le scene durante le riprese.
Ne ha
fatto le spese Gabriel Montesi che non conosceva questo metodo di «improvvisazione emotiva», come lo definisce Borghi: «Amelio mi ha fatto capire che cos'è un'inquadratura, non con la scrittura, ma disegnandola con le mani».
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