Pechino -
«Eh, certo, da lui non si poteva pretendere di più». Cos’altro poteva dire quell’uomo tranquillo sul compagno pasticcione. Ilario Di Buò è fatto così, è buono dentro. Per cui «che ci volete fare» se Mauro Nespoli ha combinato quel casino nella finale del tiro con l’arco dopo che «eravamo riusciti a recuperare e sentire l’oro vicino».
Mentre il vecchio del gruppo, classe 1965, commenta l’impresa del giovane del gruppo, il fuoriclasse del gruppo, Marco Galiazzo è tutto un annuire a destra e sinistra, alle frasi del vecchio e a quelle del giovane. Così, come se non volesse esporsi, un filo cerchiobottista, giusto per non alterare l’armonia. Però quel 227 a 225 rode dentro a tutti, e molto: perché, ammettiamolo, fa male un oro sfuggito per un Nespoli. La Corea, l’avversaria affrontata in finale, si sapeva forte e terribile, però gli azzurri ne avevano retto con abilità l’onda d’urto riuscendo in un bel recupero finale. Fatto sta che quando mancava solo una serie di tiri (uno a testa per entrambe le formazioni) l’oro strizzava un poco l’occhiolino ai nostri: non era facile ma neppure un miraggio. Invece il Nespoli...
Ma tant’è, hanno ragione, ha solo vent’anni e fin lì – per la verità – il ragazzone aveva contribuito parecchio a conquistare la finale nella sfida vinta per due punti contro l’Ucraina. Per cui guai a infierire. «Però lascia l’amaro in bocca concludere una bella prestazione solo con l’argento» dice Di Buò, «sì, sì, l’argento è bello, ma l’oro...
Bastava un pizzico di concentrazione in più» gli fa eco Galiazzo.
Già, l’eco. Ce n’erano parecchi nel campo di gara, c’erano quelli e c’erano urla, schiamazzi, inni guerrieri dei tifosi coreani scesi in massa. «Speravamo che i cinesi, appena battuti proprio da loro, tifassero in massa per noi – dirà Galiazzo –, ma purtroppo non è stato così... Sì, tutto quel baccano dà fastidio per due motivi: perché ti deconcentra e perché è a tuo sfavore». Così va a finire che la medaglia numero 500 della storia olimpica azzurra è un trofeo che fa numero. Ma non felicità.
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