Ascesa e tramonto della caricatura, capriccio dell’arte

Breve la vita felice della caricatura. Nato in Italia a metà del XVII secolo con i fratelli Carracci - Agostino e Annibale - il «ritrattino carico» si afferma, quasi da subito, grazie alla sua forza: «rompendo con il canone della bellezza compie un atto soggettivo di liberazione artistica». Come ogni vero rivoluzionario «la caricatura vive del sistema contro cui si scaglia», fattore che ne determinerà però, agli albori della contemporanea civiltà dell’immagine, nella seconda metà del XX secolo, la sconfitta. Così Werner Hoffman nel suo La caricatura. Da Leonardo a Picasso (Colla Editore, pagg. 272, euro 38; 83 tavole) che a mezzo secolo esatto dalla sua uscita in Germania viene tradotto e curato per l’edizione italiana da Giovanni Gurisatti, autore di un recente Dizionario fisiognomico. Il volto, le forme, l’espressione (Quodlibet).
La caricatura, nella lettura di Hoffman, è «l’enfant terrible della storia dell’arte», il contraltrare ironico e beffardo dell’artista accademico, fragile capriccio lineare che cerca «la deformazione, il travisamento, l’opposto della bellezza perfetta». Non è un caso che la caricatura nasca al tramonto del Rinascimento: la Riforma spezza in via definitiva l’afflato universale, cattolico, dell’Europa religiosa; la Rivoluzione copernicana declassa la Terra da centro dell’universo a remoto pianeta sperso in quegli spazi il cui silenzio avrebbe inquietato Pascal; il principio dell’uomo misura di tutte le cose affonda nel suo contrario: «le utopie della ratio, della misura, della proporzione avevano appena fatto in tempo a sviluppare il pathos del loro ottimismo che già emergeva un contromovimento richiamantesi alle potenze dell’irrazionale e dell’indimostrabile, una tendenza che fece nascere a poco a poco lo scetticismo gnoseologico caratterizzante la seconda metà del XVI secolo».
Un’epoca di crisi di cui la caricatura assorbe gli umori: «scetticismo, dubbio circa il fatto che la logica e la ragione siano in grado di attribuire un senso compiuto alle cose terrene. Sotto la superficie del mondo e dietro le quinte del suo spettacolo il caricaturista scorge lo scenario sconcertante di un mondo alla rovescia». Se l’Italia è la culla della caricatura, la maggior età questa anti-arte la visse tra l’Inghilterra e la Francia, tra il XVIII e il XIX secolo. Nella prima, William Hogarth fu «il primo autentico interprete artistico in grado di catturare la visione della totalità vivente nello specchio deformante dell’immagine comica \ Considerava il mondo un palcoscenico, riservandosi un ruolo da regista». E se nel ’700 inglese la caricatura «iniziò a prendere coscienza della sua funzione e del suo impegno sociale», è un secolo dopo, a Parigi, con Honoré Daumier, che «Il caricaturista tira le somme della realtà che gli è data, creandone i supporti simbolici e inventando tipi in cui un ceto o un popolo si trovano rappresentati». Alla morte di Daumier, nel 1879, «la caricatura aveva raggiunto la sua massima diffusione». Ma se la caricatura è specchio deformante della realtà, quando gli incubi diventano, nel XX secolo, «realtà nel modo più sconcertante», la caricatura va in crisi. Quando la deformazione si trova di fronte «a un mondo così profondamente deformato che non si lascia più deformare» la caricatura muore.

Un mondo che produce solo «cliché ottici per il consumo di massa» non offre più immagini forti da mordere. Resta solo la caricatura di genere, la vignetta, il segno che «si accontenta di mettere in immagine la realtà più superficiale e afferrabile dei nostri giorni».

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