Ates, la paladina delle donne turche

Avvocatessa, da anni difende la condizione delle sue connazionali in Germania

Trümmerfrauen e Gastarbeiter. Cioè donne e turchi. Nella Germania del dopoguerra furono loro i protagonisti della ricostruzione. Alle signore toccò raccoglier macerie, sgomberar Trümmer. Ai turchi, invitati dai tedeschi, spettò il lavoro che l’assente manodopera maschile non poteva svolgere. Donne e turchi, ma non donne turche. Per queste, giunte con i padri, i mariti, i fratelli - lavoratori presto integrati e impegnati a rimettere in piedi il paese - il discorso di sollevazione e integrazione si sarebbe affrontato molto più tardi. Che tuttavia appena l’anno scorso la loro portavoce e paladina - la turca Seyran Ates - sia stata eletta «Donna dell’anno» a Berlino, vuol dire che il suo discorso non è rimasto inascoltato.
Seyran Ates è avvocato, traguardo conquistato a costo di filiale ribellione contro l’ultratradizionalista papà curdo che, con la moglie e altri quattro figli, la portò con sé a Berlino da Istanbul quando aveva sei anni. Un giorno, studentessa, dietro il banco di un negozio di Kreuzberg per pagarsi l’università, restò vittima di un attentato, colpita al collo da un «lupo grigio» turco. Il proiettile si fermò tra la quarta e la quinta vertebra cervicale. Ma aprì, con quello squarcio in gola, una serie di rivendicazioni proclamate a gola spiegata dopo la guarigione e, con una ferita alla coscienza, la strenua lotta della Ates per la presa di coscienza della condizione delle turche in Germania. Da allora è “ambasciatrice” di un invisibile mondo parallelo popolato di figlie, sorelle, mogli, madri costrette da mezzo secolo a restare nascoste: strette dal velo che ne avvolge il capo dai due anni di età e dal vincolo matrimoniale sempre imposto alle minorenni. Ora Seyran Ates ha raccontato la sua storia e condensato il suo messaggio nel libro Die große Reise ins Feuer (Il grande viaggio nel fuoco), di cui l’editore Rowohlt ha in breve stampato due edizioni. Più che il resoconto di un’avventura biografica, la cronaca di un’evasione, il protocollo di una liberazione: diario di lotta civile e del viaggio in un mondo di cui pochi tedeschi sono a conoscenza. E non di intolleranza, pregiudizi e xenofobia fa questione la Seyran Ates. Al contrario è proprio il Multikulti fieramente esibito dalle buone coscienze che prende di mira: il multiculturalismo delle anime belle, il relativismo dei benpensanti, l’apertura culturale al diverso di cittadini disposti a tollerare la commistione di «violenza e sessualità, sesso e oppressione» - scrive - nelle famiglie diverse dalle loro. «I fanatici del multiculturalismo sono razzisti», azzarda: «Ammettono che i musulmani vivano in Germania come in una prigione».

Tesi coraggiosa, ammettono i berlinesi, che della «Frau des Jahr» hanno riconosciuto il coraggio civile con il «Preis für zivil courage». Ma intanto i tradizionalisti più accesi rispondono quotidianamente alla sua lotta contro velo e nozze forzate dalle colonne del conservatore Hürriyet.

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