Scoprire i personaggi famosi nascosti nella Vita in comune (Einaudi Stile Libero) di Letizia Muratori è diventato un gioco di società lanciato da Pietrangelo Buttafuoco su Panorama. Vasto, il direttore che si circonda di «pecore nere» per «rimangiarsele», è Giuliano Ferrara. Giorgio Francese, deus ex machina del service editoriale Ape, dove la protagonista Agata trova impiego dopo la tesi, è il mitico Giorgio DellArti di Vespina. E lEconomista è Oscar Giannino. E così altri personaggi autobiografici. Come la nonna dandy ultranovantenne e pariolina. La domestica eritrea, il padre botanico.
Ma poi un romanzo che sia tale, e quello della Muratori lo è eccome, prende la sua strada di «frantumaglia» (espressione della Ferrante), fatta di reale e immaginazione dove i personaggi diventano diversi da quelli che li hanno ispirati. Insomma il gioco finisce o meglio vale come spunto per parlare daltro, possibilmente del libro. Come nel romanzo desordio della 34enne scrittrice romana, Tu non centri (sempre Stile Libero), la carica detonante della trama è un trauma, o vari traumi, che bloccano la vita della protagonista. Nel primo caso Elena, ragazzina che la dà a tutti ma non si toglie mai la maglia. Nel secondo Tina, finita nellombra da un punto di vista sentimentale e lavorativo come ghost writer e compagna insoddisfatta del giornalista di successo Gabriele Alfano. Lo sguardo impietoso dellautrice fa continuamente scintille mentre la ponderosa ma fluida macchina narrativa procede tra Eritrea, dove si trova il primo amore della protagonista, Roma e la Germania, tra difficoltà dei rapporti umani, follia e alienazione quotidiana insita in ciascuno e uno stare male insieme che a volte è già un «volersi bene» e viceversa. Del resto la bella copertina, con una tigre sul divano, è un avvertimento chiaro. Altro punto di forza del libro sono le «invenzioni di bella scrittura», frasi lapidarie che talvolta sconfinano nella sentenziosità ma tengono attaccati alla pagina, descrizioni poetiche: «i figli non sono di chi li fa, ma di chi li vuole», «il frutto naturale di una madre fobica è una figlia abulica», «la malinconia dei piccoli addii».
Qui emerge un talentuoso sforzo linguistico che si può ricollegare alla primissima fase dellautrice, quella delle poesie di Luce intermedia (Fermenti). Accurato e azzeccato il lavoro di indagine dei «mondi» raccontati, quello botanico del favoloso giardino paterno ad Anzio, quello degli animali, quello delle manifestazioni antinucleari in Germania, come già in Tu non c'entri luniverso teenager hip hop a Roma. Universi che assumono dimensione metaforica (lo yousha tree che sembra morto ma in primavera rinasce da un proprio ramo, il corteggiamento delle papere che deve essere un balletto perfetto se no non scatta lormone) ma anche il ruolo di sfondo, di scenografia avvincente, esotica, diversificante. Qualche calo di tensione nel finale. Si mantiene altissima fino al momento del bacio in Germania nel labirinto (e magistrale è il capitolo in cui la piccola Agata, figlia adottiva, causa laborto «spontaneo» della mamma per non essere messa in ombra da un figlio naturale). Ma poi lhappy end (qualcosa di trasgressivo di questi tempi!), forse è tirato un po in lungo e sistemato troppo a puntino per costruire una «vita in comune» in tutti i dettagli.
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