Bari, le figlie tolte al papà per darle a un killer E le due ragazzine sono svanite all'improvviso

La moglie lo abbandona per un pentito di mafia e lo Stato "nasconde" la nuova famiglia anche all'altro genitore, non ancora separato legalmente. Ma il Tar accoglie il ricorso: la protezione di un pentito non cancella il diritto di famiglia, la politica giudiziaria non può oltrepassare i legami tra padre e figli

Bari, le figlie tolte al papà per darle a un killer 
E le due ragazzine sono svanite all'improvviso

Bari La protezione di un pentito non può cancellare il diritto di famiglia, la politica giudiziaria non può oltrepassare i legami tra padre e figli. È quanto di fatto stabilito dal Tribunale amministrativo regionale di Puglia che ha accolto il ricorso presentato dal papà di due bambine di 10 e 14 anni. Una storia al limite del surreale la sua.

L’uomo non vede le figlie da quando la moglie le ha portate via per andare a vivere con il nuovo compagno, un ex affiliato alla mafia barese divenuto collaboratore di giustizia e per questo motivo trasferito in una località segreta: la donna e le bambine sono entrare con lui a far parte del programma di protezione del ministero dell’Interno, una decisione ribaltata però dal Tar che ha invece accolto la tesi del difensore del padre, l’avvocato Fabio Campese, sospendendo con decreto cautelare il provvedimento del Viminale e disponendo il ritorno a casa delle bimbe. «È la prima volta che accade in Italia», dice il legale, che nel ricorso tra l’altro ha fatto riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La madre delle bambine da qualche tempo ha una relazione extraconiugale con un killer della mafia barese adesso pentito, un ex affiliato del clan Strisciuglio, la cosca egemone a Bari. Il collaboratore di giustizia, a sua volta padre di due figli che però non sono sottoposti ad alcuna tutela, aveva manifestato timori per la sorte della donna, che alla fine ha deciso di aderire al programma di protezione riuscendo a portare con sè le figlie e un nipotino che ha in affidamento. Il marito ha appreso la notizia quando ormai era troppo tardi, si è ritrovato solo e per lui è cominciato un incubo. «Quando gli ho detto che il ricorso è stato accolto si è messo a piangere», racconta il suo avvocato. Che aggiunge: «Il provvedimento del ministero è ingiusto, abnorme e illegittimo. Tra le bimbe e il pentito non c’è alcun legame affettivo e quindi non sussiste il rischio di una vendetta trasversale».

I genitori non sono ancora separati legalmente, di questo discuteranno dinanzi al giudice del tribunale civile in un’udienza fissata per il 4 novembre; inoltre, il caso è approdato anche al Tribunale per i minori, chiamato a decidere per togliere alla donna la potestà genitoriale. Secondo il legale, infatti, la sua decisione di aderire al programma di protezione «ha reciso nettamente e senza alcun preavviso gli affetti più cari violando i diritti di padre e pregiudicando nel contempo anche quelli dei figli costretti da un momento all’altro ad allontanarsi senza neanche un saluto».

Il Tar ha disposto che la commissione centrale per la definizione e l’applicazione delle misure di protezione per i collaboratori di giustizia del Viminale depositi il provvedimento, ancora sconosciuto; inoltre il tribunale amministrativo ha anche fissato per l’8 settembre l’esame dell’istanza cautelare in camera di consiglio. Sul caso è intervenuto il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. «La vicenda – dichiara – è ancora in una fase iniziale, la proposta dell’ammissione al programma di protezione per la donna e le due bambine è arrivata, infatti, alla fine di luglio; come sempre in questi casi – prosegue – se si valuta che ci siano motivi di urgenza il capo della polizia e il prefetto decidono, intanto, la collocazione in un luogo ritenuto sicuro: si preferisce infatti abbondare nelle cautele».

«La prossima settimana – annuncia Mantovano – la commissione esaminerà tutti gli aspetti della questione per decidere un programma provvisorio che in media dura sei mesi e solo in una terza fase, di prassi, si decide il programma definitivo per il collaboratore di giustizia e i suoi familiari».

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