Dando per scontato che nel Pd non ci sono geni, è però impressionante come i suoi segretari siano cannibalizzati alla media di uno l'anno. Nato nell'ottobre del 2007, il Pd ha già travolto due leader - Walter Veltroni e Dario Franceschini - e ora pare tocchi al terzo, Pier Luigi Bersani. Bersani è sotto schiaffo per l'affare di Filippo Penati, suo grande amico ed ex capo della segreteria. L'equivalente di Gianni Letta per Berlusconi. Inevitabile che i guai del braccio destro gettino un'ombra sul capo. A questo, infatti, si attaccano i nemici interni, gli aspiranti successori, i mestatori del partito, eccetera.
Il povero Pier Luigi che, in questo anno e tre quarti di segreteria, non ha mai avuto vita facile, si difende minacciando querele e sfracelli a chiunque accosti il suo nome ai pasticci penatiani. Ma il suo destino sembra segnato. Già si affacciano gli aspiranti, Matteo Renzi, sindaco di Firenze, e Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma. Rappresentano le due anime del Pd, la cattolica più o meno di sinistra (da Franco Marini a Rosy Bindi) e quella pidiessina (da Veltroni a D'Alema).
Questa storia delle due anime è il cancro che rode il Pd. La faccenda è simmetrica, ma più drammatica, della difficile fusione nel Pdl, tra ex Fi ed ex An. Col suicidio politico di Gianfranco Fini, il Pdl ha però raggiunto un certo amalgama che, invece, manca del tutto nel Pd. A conciliare le due provenienze- ex Dc, ex Pci- ci aveva provato il fondatore e primo segretario, Veltroni. Si era politicamente stinto in un guazzabuglio di ideali che andavano dal mito di Kennedy a quello di papa Roncalli, dalla «Corazzata Potemkin» a «Via col vento ». Universalmente considerato né carne né pesce pose la sua candidatura col subdolo appoggio del suo nemico Max D'Alema (che ingiunse alla pupilla Anna Finocchiaro di ritirare la propria) e il tiepido beneplacito dei cattolici.
D'altronde, c'era poco da fare gli schizzinosi. In quella estate 2007, per la sinistra erano tempi grami, in balia del governo Prodi che pochi mesi dopo avrebbe tirato le cuoia. Nessuno credeva in Veltroni, salvo Veltroni. Per ingraziarsi i cattolici, cominciò il viaggio elettorale con una tappa a Barbiana, in omaggio a don Milani. Per mostrarsi di sinistra, pronunciò un veemente discorso nell'ex fabbrica Fiat di Mirafiori. Per dire che non avrebbe rotto più di tanto, rinnovò la promessa di spiaggiare alla fine in Africa. Fatto sta che, in ottobre, fu votato plebiscitariamente.
Durò un anno e quattro mesi perdendo tre volte contro il Berlusca: alle politiche dell'aprile 2008, consegnando Roma ad Alemanno in giugno, buscandole clamorosamente in Sardegna nel febbraio 2009. Il Pd lo liquidò, attribuendogli tutte le colpe. In realtà, Walter si era battuto con un Cav in stato di grazia e non poteva fare meglio. Tanto è vero che, subentrandogli, Franceschini fece peggio. Dario, in realtà, non garbava a nessuno. Fu scelto per pura comodità. Era a portata di mano come vice di Walter e la nomina dava un contentino ai cattolici del Pd. Fu messo in chiaro che la segreteria era provvisoria e doveva, otto mesi dopo, passare il vaglio delle primarie. Anche Franceschini si tuffò in riti propiziatori per solleticare le due anime democrat. Il primo fu giurare sulla Costituzione davanti al Castello di Ferrara ( la sua città) accanto al padre ex partigiano. Il secondo furono dieci discorsi in giro per l'Italia che terminavano tutti con la parola «adesso», omaggio a don Primo Mazzolari, prete partigiano, fondatore della rivista Adesso .
Tutta roba da iniziati che scivolò sulla pelle degli elettori che volevano fatti. Dario passò il tempo insultando il Cav a mitraglietta. Non abbozzò il becco di un programma e, a ottobre, Bersani con la sua nota verve - «non fassiamo mica le righe ai rigatoni» - lo fece fuori con buon margine. Ora si affaccia l'occasione per cambiare per la quarta volta cavallo in quattro anni. La posta è grossa perché il nuovo segretario affronterà le prossime politiche. In potenza, è il futuro inquilino di Palazzo Chigi.
Ma se è vero che il Pd è minato dalle due anime, non vanno bene né Renzi, né Zingaretti. Anzi, del partito, non va bene nessuno. Così, è nata la categoria del«papa straniero».Un tormentone giornalisticocontro Bersani considerato inetto a battere Berlusconi.
A cascata, Repubblica ,Stampa , Corriere gli hanno preferito i Montezemolo, i Profumo, i Monti. Cioè dei ricchi, estranei al Palazzo. Quindi - se prevarrà la tesi - avremo a sinistra dei cloni del Cav. Da fare rivoltare nella tomba Enrico Berlinguer.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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