«Il brevetto? Uno strumento sconosciuto»

Almeno tre quarti delle piccole e medie imprese italiane non conoscono le modalità e gli strumenti per brevettare, eppure la difesa della proprietà industriale è oggi una delle armi più efficaci per incrementare la competitività. Dati alla mano, l’Ufficio europeo per i brevetti, l’Epo, ha ricevuto le seguenti domande per brevetti nell’arco dell’anno 2004: 3.676 dall’Italia, 7.431 dalla Francia, 22.791 dalla Germania, 32.000 dagli Stati leniti e 18.000 dal Giappone. Le differenze, che sono evidenti da un punto di vista quantitativo e che delegano l’Italia nelle ultime posizioni della classifica dei «Paesi brevettatori», evidenziano arretratezze più preoccupanti per un Paese come il nostro. Le domande italiane provengono in particolar modo dal settore farmaceutico e dalle tlc; ma poco dal settore manifatturiero. L’Italia è il Paese della creatività e i brevetti sono lo strumento per poterla tutelare a livello giuridico. In un contesto competitivo internazionale come quello che si sta delineando negli ultimi anni, il valore aggiunto di un prodotto o di un servizio italiano sarà sempre più legato alla ricerca e alle nuove idee.
Dovremmo impegnarci per far rispettare il trattato di Lisbona che modificherebbe la procedura di registrazione dei brevetti attualmente in essere, avvicinando più soggetti a questo importante strumento. Oggi la registrazione di un brevetto prevede che ogni domanda sia presentata in lingua locale (25 lingue) nei rispettivi uffici, per ogni singolo Stato membro. L’introduzione, di un brevetto unico «comunitario» tutelerebbe la proprietà intellettuale in tutti i Paesi europei. Dove risiedono gli ostacoli a questa riforma, dunque? Il principale motivo è l’incapacità degli europei di mettersi d’accordo su una lingua unica, l’inglese. In altre parole, il vero oggetto del contendente, cioè chi richiede la registrazione di un brevetto, è il valore legate della traduzione. Ne consegue che gli alti costi per la registrazione di un’idea sono dovuti alle spese legali, alla traduzione e al mantenimento dei brevetti nei singoli Paesi che, comprensibilmente, sono restii a rinunciare ade entrate prodotte dalle relative tasse. Guardando allo scenario internazionale dove grandi Paesi come Stati Uniti e Cina hanno procedure più semplici e meno burocratiche per la registrazione dei brevetti, credo che tutti gli Stati membri dell’Epo debbano prendere seriamente l’impegno di approvare questa riforma entro il 2010.
L’Italia spende l’1% dei Pil per la ricerca, l’Europa il 2%. Dobbiamo sicuramente investire di più e meglio a favore della ricerca, ma dobbiamo crescere anche nella tutela della proprietà intellettuale.

Il brevetto è lo strumento giuridico che regola il rapporto tra chi inventa e chi produce, riconoscendo la proprietà all’inventore. Oggi l’Italia acquista più brevetti di quanti ne produce. Ma l’Italia non era un Paese fatto soprattutto di inventori?
presidente di Geox*

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