Buoni casa per distribuire gli sfollati in vari quartieri

Silvia Marchetti

Un bonus casa per «spalmare» su tutto il territorio romano gli sfollati del Residence Roma, all’interno di strutture ben sorvegliate. È questa la proposta avanzata ieri dal candidato sindaco Gianni Alemanno al Prefetto Achille Serra, che mira a scongiurare la nascita di pericolose enclave cittadine. L’eredità di via di Bravetta non può infatti essere scaricata sulle spalle di pochi municipi. L’incontro, al quale hanno partecipato il questore Marcello Fulvi, il comandante provinciale dei carabinieri Riccardo Amato, il presidente Massimiliano Fasoli con il consigliere Marco Petrelli (An) del XX municipio e alcuni residenti della Giustiniana, era stato organizzato per trovare una soluzione all’impasse del caso ex-Bravetta e porre fine al disagio e alla paura più che giustificata dei cittadini. A rappresentare Veltroni, il suo capo di gabinetto Luca Odevaine. «Manca una percezione del problema da parte delle forze dell’ordine - ha lamentato Alemanno al prefetto -. Bisogna intensificare la vigilanza per evitare il ripetersi di atti di violenza quali l’accoltellamento di alcuni giorni fa». Al fine di evitare la concentrazione di più sfollati in un unico luogo che porterebbe a «un nuovo cancro dell’emergenza abitativa alla Giustiniana», Alemanno propone «d’istituire un buono casa per poter dislocare queste famiglie in singoli appartamenti più controllati. Serra - racconta il ministro - si è impegnato a mobilitare le forze dell’ordine per cercare di attenuare il disagio cittadino con una maggiore sorveglianza dell’area», pur evidenziando come «le scelte politiche siano quelle del Comune». Intanto, il centrodestra mantiene alta la guardia: «Da parte nostra - promette Alemanno - ci sarà una denuncia dettagliata di tutti i reati che già si stanno consumando».
Anche perché si andrà di male in peggio: «Odevaine minimizza e ci prende in giro - aggiunge il consigliere Marco Petrelli -, nei prossimi anni la Giustiniana diventerà un centro di smistamento, un sorta di Cpt: gli sfollati che avranno trovato casa se ne andranno ma ne arriveranno altri». Stando alla determina dirigenziale - la 81 del 1° marzo - il Comune ha stipulato un contratto di locazione per il nuovo residence di via Tagliaferri sborsando ben 1.822 milioni di euro annui (Iva esclusa) per una «durata di anni sei rinnovabile per altri sei anni». Insomma, nei peggiori dei casi, parliamo di circa 24 milioni di euro in dodici anni. Uno sperpero che verrebbe evitato con i buoni casa. L’affitto è stata una scelta obbligata, «considerata - si legge nella determina - la carenza di strutture immobiliari di proprietà comunale che consentano di offrire assistenza abitativa transitoria» e «di assolvere le più gravi emergenze di ricovero». Un mea culpa della fallimentare politica capitolina di edilizia sociale. La società proprietaria dell’immobile affittato era stata scelta in seguito a «un’indagine di mercato» del Campidoglio, che il 15 novembre scorso, con la determinazione dirigenziale n.569, aveva disposto la diffusione di un «avviso pubblico» sulla Gazzetta Ufficiale e su tre quotidiani nazionali per «il reperimento di uno o più immobili da destinare all’emergenza abitativa» (pagando altri 6mila euro).

Fatto sta che tra i requisiti per ottenere il contratto, risulta esplicitamente «la conformità alle normative in materia urbanistico-edilizia e igienico-sanitaria». I famosi criteri di abitabilità, al momento assenti. E stando a quanto afferma Petrelli, «il presidente della Commissione tecnica incaricata di valutare le offerte era Luca Odevaine».

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