Cani sciolti? I libici sono il motore di Al Qaida

COINCIDENZE L’attacco alla caserma è arrivato subito dopo l’appello alla lotta lanciato dal vice di Osama

Dall’Afghanistan all’Italia i veterani libici della guerra santa, che vorrebbero vedere morto il colonnello Gheddafi, sono il nocciolo duro della galassia di Al Qaida. La Digos di Milano che indaga sul terzetto del terrore fai da te di Mohamed Game, saltato in aria davanti alla caserma Santa Barbara, ha per il momento escluso collegamenti internazionali. Non sarà sfuggito, però, che il 5 ottobre lo stesso Ayman al Zawahiri, il numero due di Al Qaida, ha lanciato l’ennesimo appello alla lotta attraverso un video. Questa volta ha parlato di Ibn al Sheikh al Libi, un volontario libico che guidò l’ultima resistenza nella ridotta di Tora Bora, quando i bombardamenti americani dopo l’11 settembre 2001 avevano fatto crollare il regime talebano. Al Libi è stato poi catturato, trasferito a Guantanamo ed infine consegnato attorno al 2006 a Gheddafi. Nella galere libiche sarebbe morto suicida, secondo la versione ufficiale.
Al Zawahiri ha chiesto vendetta per «l’eroe» di Tora Bora a tutti i musulmani che credono in Al Qaida. Una specie di incitamento alla jihad individuale, che può aver fatto scattare la molla definitiva nel terzetto di terroristi fai da te di Milano, due dei quali sono libici. Sarà un caso, ma un giorno dopo il video di al Zawahiri, Mohamed Game è andato a comprare 50 chili di nitrato d’ammonio in parte utilizzati per l’attentato di lunedì. Il Gruppo islamico combattente è sorto nel 1995, grazie ai veterani libici che avevano combattuto in Afghanistan contro l’invasione dell’Armata rossa negli anni Ottanta.
In Italia è stata segnalata la presenza di affiliati all’organizzazione terroristica negli anni Duemila. Mohammed Aouzar, un ex detenuto di Guantanamo, era stato arruolato a Torino e inviato a combattere in Afghanistan nel 2001 da un certo Houssam, del Gruppo islamico libico, che frequentava la moschea di via Giulio Cesare. Noureddine Lamor, capo cellula tunisino nel capoluogo piemontese, venne espulso nel 2003 assieme ad altri sei presunti terroristi. Lamor, che aveva vissuto in Libia, era stato arruolato da Kalifa Alzaruk, che comandava una cellula sospetta a Milano. Alzaruk è un adepto del Gruppo combattente libico. Alla fine degli anni Novanta, davanti alla dura repressione interna, molti militanti fuggirono dalla Libia in Europa, soprattutto in Gran Bretagna, ma pure in Italia. Da dove hanno organizzato il reclutamento e l’appoggio logistico alla guerra santa internazionale.
Nel 2001, dopo la fuga dei talebani da Kabul, il grande campo di addestramento di Al Qaida a Rishkor, a una ventina di chilometri dalla capitale era mezzo raso al suolo dai bombardamenti Usa. Fra le macerie spuntavano gli scritti di Osama bin Laden o simboli preoccupanti come una mappa dell’Inghilterra sovrastata da un kalashnikov. Fra i resti della propaganda jihadista c’erano anche dei pieghevoli del Gruppo islamico combattente libico, che inneggiavano al rovesciamento del regime di Gheddafi. Non è un caso che oggi Abu Yahya al Libi sia uno dei colonnelli più temibili di Al Qaida, annidato nelle aree tribali fra Pakistan e Afghanistan. Classe 1963, veterano della guerra contro i sovietici, era stato catturato dagli americani e rinchiuso nella base di Bagram. Nel 2005 è incredibilmente evaso tornando a riorganizzare le cellule di Al Qaida.
Nell’aprile scorso una novantina di detenuti del Gruppo islamico combattente sono stati rilasciati dalle carceri libiche su richiesta di Seif el Islam. Il figlio delfino di Gheddafi sta cercando di trovare un accordo politico con gli estremisti islamici grazie ai contatti con la diaspora. L’organizzazione terroristica si è spaccata fra i fedelissimi di Al Qaida e chi è disposto al compromesso.


Mohamed Game e l’altro libico del terzetto del terrore di Milano forse sono solo schegge impazzite. Però hanno colpito nel momento in cui si è rinsaldata l’amicizia italo-libica e il regime di Gheddafi cerca un accordo con i fondamentalisti.
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