Caso Scazzi, zio Michele mostro anche nella farsa

"Sono stato io, anzi no". Tornato libero, ogni giorno Misseri cambia versione, tra gaffe e messaggi criptici. E così sta trasformando l’orrore di un barbaro assassinio in una macabra barzelletta

Caso Scazzi, zio Michele 
mostro anche nella farsa

Taranto - Giovedì mattina, mentre faceva giardinaggio nel cortile della sua villetta, aveva assicurato che sarebbe andato a portare un fiore sulla tomba di Sarah «quando uscirà il colpevole», dimenticando di aver urlato ai quattro venti la propria colpevolezza subito dopo la scarcerazione; ieri invece Michele Misseri ha pensato bene di rettificare la sua stessa rettifica: «Il colpevole sono io e l'ho sempre detto, però non mi crede mai nessuno», dichiara al microfono del «Tg5» in un'altra mattinata segnata dalle parole dell'agricoltore di Avetrana, l'ex orco divenuto ormai capro espiatorio.
Lui il contadino dagli occhi di ghiaccio e la pelle bruciata dal sole, si è affacciato ancora una volta dinanzi al cancello marrone della villa di via Deledda offrendo la versione di turno: dice di aver ucciso la nipote Sarah Scazzi, aggiunge che non voleva «nemmeno uscire dal carcere», sostiene di essere stato equivocato facendosi scudo con il dialetto. «Quando le traducono le parole cambiano, per questo sono nervoso». E soprattutto tiene a ripetere che in cella «ci sono due innocenti» riferendosi alla figlia, Sabrina, e alla moglie, Cosima Serrano, arrestate con l'accusa di aver assassinato la quindicenne in un torrido pomeriggio del 26 agosto, una tragedia infinita ormai segnata anche da un groviglio di voci e indiscrezioni, bugie e mezze verità, proclami e comparsate televisive, turisti dell'orrore e sciacalli improvvisati pronti a battere le mani.
Gli investigatori tentano di puntellare l'inchiesta con accertamenti tecnici e ieri è stata ispezionata l'Opel Astra di Cosima. Intanto «zio Michè», il contadino che avrebbe scaraventato la nipotina in una cisterna per mettere a tacere un folle delitto di famiglia, è un uomo libero e può scegliere come trascorrere la giornata: se dedicarsi alla potatura di un albero nel suo giardino o invece riversare altri fiumi di parole, se fare qualche lavoretto in casa o riprendere a raccontare, se raccogliere limoni e stare zitto o dire tutto e il contrario di tutto tentando di riportare indietro le lancette dell'inchiesta. Che invece è andata avanti e si è modificata lasciandolo ai margini, proprio lui che nè è stato il protagonista.
Del resto Misseri ha fatto trovare il telefonino di Sarah, zio Miché ha indossato la maschera del dolore assicurando in lacrime di aver trovato il cellulare per caso in campagna; e ancora: sempre zio Miché ha confessato e ha fatto trovare il cadavere, quindi ha accusato Sabrina e quando i magistrati hanno deciso di non sentirlo più ha scritto un'infinità di lettere per affermare l'innocenza della figlia; infine, ormai in libertà dopo 236 giorni di carcere, il contadino è tornato a parlare: prima si è accusato mimando persino le fasi dell'omicidio, poi ha affermato al microfono di «Quarto grado» che «il colpevole non è uscito» e alla fine ha ritrattato. Eppure Michele Misseri respinge l'etichetta di uomo dalle mille versioni. «Io ho sempre detto la verità, ma mai nessuno mi ha voluto capire», dichiara. E quando pensa a moglie e figlia precisa: «Non so come devo farmi perdonare, mi sento in colpa di quello che ho fatto».
In realtà nell'inchiesta l'agricoltore di Avetrana è poco più di un comprimario.

Secondo la procura di Taranto, Sarah sarebbe stata uccisa da Sabrina perché temeva che la quindicenne le portasse via Ivano Russo, il ragazzo conteso: per questo l'avrebbe strangolata sotto gli occhi della madre che non avrebbe fatto nulla per impedirlo. Poi zio Miché ha fatto sparire il corpo ed è rimasto in silenzio. Fino a quando l’orrore gli ha corroso la coscienza e lo ha spinto a parlare.

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