Alberto Cantù
da Bologna
Qualche mese fa la Filarmonica di Berlino fu di stanza al Piermarini con il suo leader Simon Rattle e un programma fatto di Beethoven e Stravinskij: una Quarta sinfonia un po indecisa per come leccesso di dettagli rendeva sfocato lassieme e un Uccello di fuoco, invece, di strepitoso virtuosismo e col merito del balletto completo - la versione originaria anno 1910 - anziché una delle tre suite da concerto (la scelta dei brani più popolari) dove lautore intervenne fino al 45 a ridurre la «matericità» e smussare o snellire quel dirompere primigenio del brano.
Anche Riccardo Chailly, nellinaugurare «Bologna festival», ha scelto lOiseau integrale e «depoca». Lo ha fatto nel tornare dopo più di sette anni sul podio della Filarmonica della Scala e come cuore di un programma novecentesco con capisaldi quali la suite da concerto da Il mandarino meraviglioso di Bartók, più, deliziosa entrée, La ritirata notturna di Boccherini-Berio.
Un programma, in verità da far tremare i polsi allinterprete e da sfiancare qualsiasi orchestra. Eppure, con la coscienza a posto, possiamo dire che la lettura dellOiseau offerta dal complesso milanese reggeva bene o benissimo il confronto, sul piano tecnico, con quella dei colleghi di Berlino. Con in più, grazie a Chailly, la gioia di fare musica e non routine, una coerenza stilistica, unespressione sempre «giusta» anche perché flessibile. Ad esempio nelle accelerazioni e cacofonie furibonde eppure sorvegliatissime e senza frastuono (la Danza infernale), nei segmenti ritmici in continua trasformazione - ritmi che lorchestra scolpiva o faceva rimbalzare come un congegno di precisione - che portano alla Sagra della primavera. E poi quel canto depurato di qualsiasi enfasi ottocentesca, quelle Tenebre profonde in cui tutto si dissolve nello strazio del congedo dal passato.
Al risultato mirabile contribuiva la risposta acustica modello del Teatro Manzoni, bella sala dove lantico e il nuovo armonizzano: il primo Novecento di barcacce color panna e gli ori, gli ocra, i grigi del soffitto art nouveau con le strutture in legno e metallo post restauri.
Chailly, come dicevamo, partecipa della gioia di una grande fatica per uno splendido risultato assieme a tutti i suoi «colleghi» professori dorchestra e il pubblico, galvanizzato, risponde con chiamate e ovazioni a non finire. Spettatori che ringraziano per un Bartók dove la sinuosità malata lascia posto al vortice della stretta finale.
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