"Che barba, che noia" Sandra è rimasta sola dentro Casa Vianello

Mezzo secolo insieme nonostante i litigi, facevano sembrare facili l’amore, la fedeltà e la complicità fra marito e moglie

"Che barba, che noia" Sandra è rimasta sola dentro Casa Vianello

Quarantotto anni per spiegare che dall’amore non si scende. Quarantotto anni sul lato buono della vita. In un mondo in cui gli adulti sono l’adulterio e gli adulti dello show-biz sono l’orgia. Quarantotto anni di scaramucce ma indenni dalla gadgettistica sessuale tanto di moda in questi anni, fatta di sesso estremo, inseminazioni, confusioni d’identità, tradimenti e compromessi. Li abbiamo seguiti fino in camera da letto. Lui con la «Gazzetta dello sport» in mano, senza mai emergere da uno dei suoi appassionati silenzi, lei con una finta noia che le faceva scalciare le coperte. «Che barba, che noia». Arenati lì, ma arenati insieme. E gli altri fuori, spiaggiati nei loro pensieri sconci, con le lenzuola ferme e le vite irrequiete. In realtà sono stati i più grandi complici l’uno nella vita dell’altra. Che è tutto ciò che si può chiedere. Anche oggi che lui se n’è andato, lei se lo tiene: muta di dolore e chiusa in casa. Casa Vianello. Senza Vianello. Sandra che è anche Raimondo.
Ieri sono morti un sacco di sorrisi perché, malgrado i suoi ottantasette anni, non ci ha lasciato il tempo di farne provvista. Sandra senza Raimondo. Non si sa da dove iniziare.
Da quel primo reality educato che in fin dei conti è stata la fiction sulla loro vita. La sitcom più longeva della televisione italiana, (dal 1988 al 2007, 16 serie e 343 episodi). Quella ambientata nell’immaginario appartamento di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, con una «tata» (Giorgia Trasselli) coalizzata con la signora contro le scappatelle mai andate in porto del dottore, con i giorni maldestri, con gli equivoci, con il cinismo di Vianello che era il suo dandysmo intellettuale, con le piccole inesattezze con le quali sperava di risparmiarsi tonnellate di spiegazioni. Ma poi le spiegazioni arrivavano sempre, «che barba, che noia». Il solito tsunami sotto al copriletto di cui lui attendeva la fine volgendo gli occhi al cielo e riparando la «Gazza», poi lei si girava di schiena e spegneva la luce con un «buonanotte» biascicato a fatica a cavallo con uno sbadiglio.Si addormentava arrabbiata Sandra. Ma erano notti che non lasciavano niente al mattino.
Si erano conosciuti nel 1958 Sandra e Raimondo. E forse la prima volta che Sandra l’ha visto, non ha pensato che Raimondo avesse l’aspetto del fato. Invece lo era. Si erano sposati nel 1962 e si sono lasciati solo ieri. Hanno sempre vissuto e lavorato assieme. Un miracolo in quest’epoca di storie vissute a strappo, di noie veloci, di amori a tempo. Lei è stata sempre pazza del suo altissimo Raimondo, ma pazza in senso buono, composto. Innamorata bene di quell’uomo che emanava un vago pericolo con quell’aria di saperne troppo e non abbastanza, che le imburrava la vita di ironia, con certe ricostruzioni che incantavano la realtà per rattoppare le sue marachelle, che la sgridava per farla sentire viva. Quell’uomo che in realtà non andava mai a cercarsi fuori di sè. Il giorno che si è ritirata lei, il 10 dicembre del 2008, quando durante la conferenza stampa per il lancio di Crociera Vianello aveva annunciato di dover abbandonare le scene a causa della sua malattia (la vasculite) che la costringe su una sedia a rotelle, di fatto era sparito anche Raimondo. Non si è mai capito dove stesse l’ingranaggio, in quel motore. Anche se lei aveva deciso prima di lui chi essere e con quanta energia. Poi però avevano iniziato ad essere una cosa sola e nessuno ricorda più da quando, ormai.
Nessun bambino ma un’intera famiglia adottata e poi un sacco di piccini aiutati in giro per il mondo e l’impegno in innumerevoli iniziative per la raccolta fondi per la ricerca contro il cancro. Sempre insieme, coppia anche in quello. Anche nel 1996, quando Sandra venne insignita della medaglia di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, su iniziativa di Oscar Luigi Scalfaro. Anche lì c’era Raimondo a farle strada e a darle strada e a far finta di far più piccolo tutto per scherno. O forse per mettersi al riparo dal fato creditore che già li aveva fatti trovare e li aveva messi assieme. Lei sempre a guardarlo dal basso, lui perennemente chinato verso di lei.
Sempre a far finta di sopportarsi a vicenda, a far finta di volersi distanziare un po’, ognuno per conto suo con un po’ di spazio per sè. Non ne hanno mai voluto di spazio. I tic li hanno portati tutti in scena, con schiaffi e gelosie e minuscole menzogne. Li hanno messi tutti nel copione e non se ne sono lasciati per la vita vera. O se se li sono tenuti anche per quella, hanno trovato la giusta velocità di crociera. Ci siamo stati tutti in casa loro. E ce li siamo sempre immaginati così. Con lei che parlava e lui che le dava addosso, con lei che faceva la donna e lui che la rimetteva al suo posto. Con lui che la guardava sempre come fosse Sbirulino. Loro che erano il collante ideologico di tutta l’Italia perché piacevano ai giovani, ai vecchi, ai milanisti, agli interisti, alla destra e alla sinistra.


Sandra e Raimondo che facevano sembrare facile stare sposati, divertente amarsi, bello essere fedeli per decenni, possibile essere complici. Fino alla fine. Lei devastata dai dolori e in sedia a rotelle, lui che se ne va dopo undici giorni di ricovero alle 6.52 di mattina. Ma lei era lì.

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