Così la Margherita rischia di sfiorire

Arturo Gismondi

La stampa nazionale, anche quella parte che prima del voto ha sostenuto il centrosinistra si interroga, con accenti implicitamente autocritici, sugli assetti politici del Paese. C’è una certa difficoltà a individuare le forze reali, pur esistenti, che si raccolgono attorno a Prodi e che rischiano di portare il Paese in una situazione pericolosa, che lascia spazi estesi alla iniziativa delle forze estremiste. Le quali, in effetti, hanno offerto prove indubbie della loro iniziativa. Anche perché quella parte dell’Unione che si definisce riformista appare per il momento rassegnata a lasciare l’iniziativa alla sinistra radicale che non a caso appare la più decisa nel sostenere Prodi.
La forza della sinistra alternativa nasce dalla affermazione elettorale. Nel complesso, fra partiti comunisti, verdi e aggregati ha superato largamente il voto della Margherita, il partito che si è proposto, soprattutto con il suo leader Rutelli, quale baluardo della moderazione. Ma la forza della sinistra radicale è anche nella incapacità dei Ds di reagire a una deriva che ha il suo punto di forza in Prodi. La storia della elezione di Bertinotti a Montecitorio nasce di qui, di qui nasce anche la velleità di un post-comunista al Quirinale. L’alleanza di Prodi e Bertinotti si è insomma confermata, dopo il voto, come una alleanza organica, al punto che il prodismo e l'estremismo sembrano destinati a sopravvivere insieme, e insieme a cadere.
Quello che si cerca di costituire, ma ormai se ne parla dopo il passaggio dell’elezione del capo dello Stato, con gli imprevisti del caso, è un governo nel quale sarà la sinistra alternativa a imporre le sue ragioni. E a questo rapporto di forze è legata la durata di Prodi come presidente del Consiglio. Consegnando a Bertinotti la guida di Montecitorio, Prodi ha creato consapevolmente un dato di fatto politico e istituzionale difficile da rimuovere come da assorbire.
A soffrire di questa situazione sarà soprattutto la Margherita, che Rutelli ha cercato di caratterizzare come l’ala centrista e moderata della coalizione. Ma il risultato modesto dei Dl è già il segno di una difficile collocazione politica. La Margherita ha pagato la sua scelta, che è stata penalizzata da due diversi timori che ne hanno eroso la base di consenso: il primo timore è quello suscitato in molti elettori moderati dalle manifestazioni estremiste riconducibili ai partiti comunisti e verdi con il loro seguito di no-global, no-tav, centri sociali, disobbedienti; il secondo timore è stato provocato dalla predicazione laicista della Rosa nel pugno che ha finito per suscitare diffidenze crescenti nel mondo cattolico.
Le difficoltà della Margherita costituiscono un elemento di debolezza dello schieramento «riformatore» da valutare, anche perché accresciuto dal fatto che i Ds non sono in condizioni migliori giacché l’area estremista pesa sui post-comunisti non solo per la presenza del «correntone» di Fabio Mussi e Cesare Salvi, ma anche e soprattutto per la esistenza, nel corpo militante, di spinte che hanno origine nel passato di questo partito. Lo si è visto chiaramente nel carattere delle celebrazioni del 25 aprile e del Primo maggio che rischiano di rendere le forze più moderate prigioniere ed ostaggio degli estremisti. La sconfessione dell’invito della Cgil a Letizia Moratti per il corteo del Primo maggio è un segno assai preoccupante.
A rafforzare le spinte della estrema sinistra contribuisce infine un caleidoscopio di forze eterogenee che vanno dal movimento dei Girotondi, alla rivista Micromega a una vasta parte, radicaleggiante, del giornalismo. Sono forze che riproducono il mito ribellistico degli anni ’70, e quello giustizialista dei primi anni ’90, da aggiungere ai miti rivoluzionari in qualsiasi parte del mondo si manifestino. Quegli sciagurati che vanno gridando «10-100-1000 Nassirya» esprimono una parte d’Italia che è con la testa e il cuore, come abbiamo già notato, «dall’altra parte».


Il giornale della Margherita Europa sintetizzava la necessità di sbarazzarsi di certe forze con il motto: «Fuori i cretini». Il dubbio è che si tratti davvero di cretini, che siano così pochi come si ama credere, e riguarda soprattutto la capacità della sinistra di liberarsene.
a.gismondi@tin.it

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