Così il regime vuol eliminare l’identità di un popolo

Un intellettuale imprigionato per aver scritto un romanzo e parenti dei dissidenti in esilio all’estero torturati per estorcere false confessioni. Oltre a 1300 uiguri arrestati lo scorso anno con accuse pesantissime, ma infondate nella maggioranza dei casi. Lingua cancellata e obbligo al lavoro forzato sono le altre pene dello Xinjiang, il Tibet islamico della Cina. La denuncia è contenuta in un rapporto di Amnesty international pubblicato in aprile. Un inascoltato campanello d’allarme suonato ben prima della sanguinosa rivolta etnica di questi giorni.
«L’identità degli uiguri è sistematicamente erosa. Le politiche governative (di Pechino, ndr) che limitano l’uso della lingua e impongono severe restrizioni alla libertà religiosa (…) stanno provocando scontento e tensioni etniche», si legge nell’introduzione al rapporto di Amnesty.
«Un’aggressiva campagna ha portato all’arresto e all’arbitraria detenzione di migliaia di uiguri per aver pacificamente esercitato i loro diritti», denuncia Amnesty. Per i cinesi, invece, si tratta di criminali accusati di «terrorismo, separatismo ed estremismo religioso».
Il caso più eclatante è quello del poeta e scrittore trentaduenne Nurmuhemmet Yasin. Sconta una pena di 10 anni per aver scritto il romanzo «Piccione selvaggio». Le autorità cinesi hanno letto fra le righe una critica al ruolo di Pechino nello Xinjiang, che gli uiguri chiamano Turkestan orientale. Il libro è la storia, narrata in prima persona, di un piccione in gabbia. Alla fine l’animale si suicida piuttosto che vivere senza la libertà. Un altro prigioniero uiguro che Amnesty ha adottato è Ablikim Abdiriyim, uno dei figli dell’eroina del dissenso in esilio Rebiya Kadeer. Condannato a nove anni di galera per «separatismo», li sta scontando nella famigerata prigione numero 4. La grave colpa è aver «disseminato internet con articoli secessionisti, che fomentano l’opinione pubblica contro il governo cinese». Amnesty sospetta che la sua “confessione” sia stata estorta con la tortura.
Lo scorso anno una serie di attentati attribuiti a gruppi separatisti islamici ha permesso ai cinesi di scatenare un’ondata di 1.300 arresti. La stragrande maggioranza degli uiguri coinvolti non ha nulla a che fare con il terrorismo. Non solo: i cinesi stanno eliminando la lingua dell’etnia turcofona. Amnesty denuncia che di fatto «il cinese è l’unica lingua d’istruzione» a scuola e nelle università. Per non parlare dell’aspetto religioso. Gli uiguri sono musulmani sunniti, ma le loro moschee subiscono il controllo governativo e gli imam vengono nominati dalle autorità cinesi. Nel settore pubblico chi professa apertamente la propria fede rischia il posto. Il venerdì, giorno di preghiera per i musulmani, gli studenti uiguri sono costretti a rimanere a scuola per evitare che vadano in moschea. Anche i pellegrinaggi alla Mecca vengono ostacolati in ogni modo.
Amnesty denuncia che la popolazione uigura «è sistematicamente sottoposta a una politica governativa di lavori forzati».

Il sistema si chiama hashar e obbliga ogni famiglia a mandare almeno un membro a lavorare gratis per l’agricoltura di Stato o altri settori pubblici, anche più volte all’anno per periodi di 2-3 settimane. Nessuno è esente, dalle donne di 70 ai bambini di 12, che devono pure pagarsi il viaggio e trovarsi l’alloggio.
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