Non è la prima volta che l'Egitto agisce contro milizie islamiche in Libia. È la prima volta però che ammette d'essere all'origine di un'azione militare. All'alba di lunedì, poche ore dopo la diffusione da parte dello Stato islamico in Libia di un video che mostra la barbarica decapitazione di 12 cristiani copti egiziani, i jet del Cairo hanno colpito postazioni degli estremisti in territorio libico. Durante l'estate, il governo del presidente Abdel Fattah Al Sisi, l'ex militare che ha messo fine 18 mesi fa al potere dei Fratelli musulmani al Cairo, aveva prestato le proprie basi aeree ai caccia degli Emirati arabi per colpire Tripoli. Accadeva prima che il Paese si spaccasse tra due governi: quello sostenuto dalla comunità internazionale a Tobruk, e quello appoggiato da correnti islamiste.
Se qualche mese fa Egitto ed Emirati arabi non avevano riconosciuto d'essere all'origine dell'azione militare, questa volta il Cairo ha subito fatto sapere d'aver attaccato lo Stato islamico. I portavoce delle forze armate libiche del generale Khalifa Haftar, controverso militare che da mesi tenta di riunire attorno a sé una coalizione anti-islamista, hanno parlato ai media del Cairo di oltre 50 miliziani uccisi, di coordinamento tra i due paesi. Sulla tv di Stato egiziana sono passate immagini del decollo dei jet, mentre una voce maschile leggeva un comunicato delle forze armate, nello stile della propaganda militare dell'era di Hosni Mubarak: l'Egitto ha «il diritto» di difendere la sicurezza dei suoi cittadini dai «criminali e terroristi», «fuori e dentro» il Paese. Il presidente Sisi, dopo la pubblicazione del video dell'uccisione dei copti, ha spiegato domenica in diretta alla nazione come il Cairo abbia diritto di replicare all'aggressione. Il rais, il volto della restaurazione di un regime dal sapore antico, nuovo autocrate i cui poteri non sono lontani da quelli che furono di Mubarak e Muammar Gheddafi in Libia, è diventato in mancanza d'altro uno dei più robusti alleati della comunità internazionale contro l'estremismo nella regione. Ha siglato proprio ieri con la Francia un accordo per l'acquisto di 24 jet da combattimento Rafale: la firma è importante, ha detto Hollande, «viste le minacce che esistono attorno a quel Paese».
Pur non essendo parte della coalizione che agisce contro lo Stato islamico in Siria e Irak, con questo nuovo attivismo militare Sisi si mette all'avanguardia regionale della battaglia contro il «Califfato». L'assassinio dei 21 egiziani copti è per il Cairo un affronto alla sicurezza del Paese, che condivide una lunga frontiera con la Libia. Altri 35 egiziani sarebbero stati rapiti secondo media libici, ieri, subito dopo i raid, in zone sotto il controllo dell'Isis.
Allo stesso tempo, il Cairo combatte in casa, in Sinai, dove prospera Ansar Beit Al Maqdis, milizia che, come molti altri gruppi attirati dalle capacità comunicative del «Califfato», ha giurato fedeltà alla linea jihadista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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