È quasi rassicurante che il presidente turco Tayyip Erdogan abbia dichiarato in un'intervista che ritiene che «potenze straniere possono essere coinvolte nel fallito colpo di Stato» nel suo Paese: Erdogan ha sempre trovato molti capri espiatori per i suoi guai, per la mancanza di quel consenso totalitario che desidera, per un'economia che si inceppa, per i rapporti internazionali stupefatti dalla sua smania di essere il nuovo sultano. Ai tempi della rivolta di Gezy Park, a turno sono stati accusati la Cia, l'Europa gelosa dei suoi successi, la Lufthansa preoccupata per il suo progetto di un immenso aeroporto, la «congiura telecinetica» (sic) e, molto, la lobby ebraica, la sua preferita. Sull'America, il più classico fra i fantasmi cospirativi, Erdogan è stato frenato dalla determinazione di Obama a considerare la Turchia un partner fondamentale sin dall'inizio, il primo fra i Paesi islamici visitati nel 2009, ed Erdogan un interlocutore cui mostrare segni di pubblico rispetto. Adesso la richiesta insistente di estradare Gulen disegnato come il primo responsabile del colpo e il ritegno giuridico e politico dell'amministrazione americana a farlo svelano che da tempo cova il fuoco del dissidio sotto le ceneri, ma è improbabile che Erdogan si riferisse agli Usa o solo agli Usa dicendo «potenze straniere». I nemici preferiti di Erdogan sono naturalmente (oltre ai curdi che certo avrebbero molto amato una discesa agli inferi di Erdogan ma non sembrano in grado di occuparsene a fondo): Israele, la Russia, la Siria di Assad. La Turchia abbattè un aereo Sukhoi il 24 novembre scorso, e uno dei due piloti fu ucciso dai ribelli siriani: fu il punto più basso di rapporti con Putin già devastati dalla guerra in Siria. Volarono gli stracci del sostegno turco ai salafiti di Ahrar al Sham e Jaysh al Islam alleati di Al Nusra. L'intervento dell'aviazione russa aveva lasciato che Assad conquistasse Homs e Hama e Palmira fosse strappata all'Isis. Fu messo sotto accusa il rapporto Erdogan Isis, che ha fatto della Turchia una pista di arrivo e partenze di foreign fighters. La Russia si risentì duramente, Erdogan non voleva porgere la sue scuse. Ultimamente invece, il 26 di giugno, le ha porte, e questo nel quadro generale di una ricomposizione altrettanto clamorosa, quella del rapporto avvelenato dall'antisemitismo conclamato di Erdogan, con Israele, col ritorno dei rapporti diplomatici e la promessa di una ricompensa di 200 milioni di dollari ad Ankara per gli incidenti della Mavi Marmara del 2010. Un buon accordo? Certo strategico e stabilizzante in un'ottica di lunga durata, così come le scuse a Putin: difficile una diabolica lungimiranza degli uni e degli altri nell'agire proprio ora contro Erdogan. Anche perché Israele tende in questo periodo di terremoto mediorientale alla salvaguardia della neutralità, non intende affrontare se non è obbligata il conflitto sciita-sunnita o quello intrasunnita. Semmai, spera che possa servire a contenere Hamas la passione ricambiata di Erdogan per il gruppo terrorista padrone di Gaza: una passione che ha indotto Ismail Haniyeh addirittura a presentarsi dopo il fallito golpe inneggiando alla democrazia (lui, un autocrate islamista genocida!) con una gran torta su cui erano istoriati sorridenti fra lui e il raìs turco. Netanyahu ha preso, come del resto Putin, la strada delle congratulazioni per la ristabilita normalità democratica. Ma per fare un po' di maretta un deputato arabo israeliano della lista araba Tareb Abu Ararar ha accusato il governo di sostenere «ideologicamente» il fallito colpo e i media arabi hanno citato come fautore del golpe Akin Ozturk, un generale in pensione che è stato attaché militare negli anni 1996-98 con base in Israele. Molta acqua da allora è passata sotto i ponti: la Turchia è stata una grande alleata dell'Occidente, poi via via si è spostata sulla scia islamista di Erdogan. Nel 2003 rifiutò alle truppe Usa il passaggio in Irak, nel 2010 ha votato contro le sanzioni all'Iran dell'Onu, ha spostato i cannoni (ideali) con la guerra in Siria che l'ha messa all'angolo e l'ha contrapposta di nuovo agli Usa. Perché Obama non ha intenzione di soppiantare Assad, come invece Erdogan vuole. Il suo rapporto con la Nato è inattendibile, la sua forza in quell'ambito si chiama memoria di un sogno e suggerisce il rischio delle testate nucleari nelle sue mani; il suo disegno di entrare in Europa al giorno d'oggi suona grottesco: Mogherini ripete che le cose saranno messe in discussione se rientra in vigore la pena di morte. La pena di morte c'è di già! Applicata in questi giorni a centinaia, forse a migliaia di persone insieme con la violazione di tutti i possibili diritti umani. E insieme, Erdogan tiene in mano il cappio dell'ingresso dei profughi e il guinzaglio sul collo di parte del terrorismo. L'Iran è suo amico, ma alleato del nemico Assad.
L'Egitto è sunnita, ma Sisi è il maggior nemico della Fratellanza musulmana di Erdogan. E dunque, chi sono quelli che avrebbero potuto non volere più Erdogan fra i piedi? Tutti, nonostante i voli americani che di nuovo decollano dalla base di Inçirlik contro l'Isis.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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