Per lo Stato uno stupro ​vale meno di 5mila euro

Pubblicato il tariffario dei risarcimenti per le vittime di reati violenti (stupro e omicidio) il cui aguzzino è nullatenente. La protesta delle associazioni

Per lo Stato uno stupro ​vale meno di 5mila euro

Oltre al danno, e al dolore di aver subito uno stupro o aver perso un caro, anche la beffa. Quella rifilata dallo Stato alle vittime di stupri, violenze e omicidi. Il governo ha approvato il decreto che stabilisce i risarcimenti per le vittime di alcuni reati i cui aguzzini sono nullatenenti. Bello, bellissimo. Peccato che il più delle volte si tratti di una sorta di "elemosina".

Il decreto attuativo della legge 122 del 2016 è stato pubblicato in gazzetta ufficiale il 10 ottobre scorso. E in teoria serve per recepire una direttiva europea (la 80 del 2004) che impone agli Stati membri di creare un fondo per finanziare i risarcimenti per i reati commessi da sconosciuti o insolventi. In sostanza se ad uccidere un caro è una persona che non verrà mai catturata, oppure questa dimostra di non avere un soldi bucato, allora è lo Stato a risarcire le vittime (o la loro famiglia). Situazione ricorrente - spiega La Verità - quando a commettere il crimine sono immigrati clandestini, che per lo Stato risultano nullatenenti se non invisibili.

E quanto vale per lo Stato la vita di un parente? Solo 7.200 euro. E uno stupro? Meno di 5mila, per la precisione 4.800 se allo stupratore non vengono riconosciute le attenuanti. Chiaro, no? Se invece ci sono le attenuanti, allora la vittima di una violenza sessuale non può sperare di ottenere più di 3mila euro. Se invece l'omicidio viene commesso da un coniuge, allora la cifra è di appena 8.200 euro e finisce, ovviamente, ai figli della (ex) coppia.

Perché cifre così irrisorie? Semplice: perché il fondo è stato finanziato solo con 10 milioni di euro. Chiamarlo fondo è un eufemismo. La legge fece già discutere a seguito del caso di David Raggi, il ragazzo di Terni sgozzato da un immigrato a cui lo Stato aveva negato un risarcimento perché troppo "ricco". La prima formulazione della legge, infatti, prevedeva il pagamento dell'indennizzo non solo se il killer era indigente, ma anche la vittima doveva avere un reddito inferiore ai 11.500 euro lordi all'anno (700 euro al mese). Una follia a cui, per fortuna, è stata messa una pezza.

L'associazione Unavi, presieduta da Federica Pagani Raccagni, è però sulle barricate. "Siamo indignati, arrabbiati, non abbiamo parole - dice a La Verità - trovano soldi per tutto e non li trovano per le vittime come mio marito, ucciso durante una rapina in casa da quattro clandestini. E adesso, con questo decreto, il governo mi vorrebbe dare 7.

200 euro come indennizzo? È assurdo che la proposta arrivi da uno Stato che avrebbe dovuto proteggermi come cittadina italiana impedendo che i quattro, con precedenti penali e irregolari, fossero ancora nel nostro Paese a seminare morte".

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