"Conservare la natura": perché la destra non può dimenticare l'ambiente

Conversazione con Francesco Giubilei sul saggio Conservare la natura che ha vinto il premio letterario Acqui Ambiente. Come costruire una cultura politica capace di coniugare identità e progresso economico con la tutela dell'ambiente? Per la destra sarà una sfida chiave capirlo

"Conservare la natura": perché la destra non può dimenticare l'ambiente

Francesco Giubilei, editore e tra i più giovani uomini di cultura attivi nella costruzione dei nuovi paradigmi della destra contemporanea, ha recentemente vinto con il suo ultimo saggio "Conservare la natura" il premio letterario Acqui Ambiente. Il riconoscimento conferito al presidente di Nazione Futura e della Fondazione Tatarella premia un volume in cui Giubilei descrive quelle che sono, a suo avviso, le priorità attorno a cui costruire un ambientalismo non fondato sui dogmi liberal e progressisti. Su cui ci siamo voluti confrontare dialogando con lui.

Il tema dell’ambiente è oggi una realtà importante e dalla forte valenza strategico-politica. Perché a lungo negli ultimi anni la destra lo ha abbandonato ai liberal-progressisti in tutto l’Occidente?

È necessario fare una distinzione tra la destra culturale e quella politica. Da un punto di vista culturale la destra europea e italiana ha realizzato un'importante produzione editoriale sul tema della natura, possiamo citare il movimento dei Wandervogel a inizio Novecento in Germania, autori come Roger Scruton, pensatori cristiani, scrittori in Francia come Alexis Carrel, movimenti come “Fare verde” in Italia… Gli esempi sono molteplici anche se spesso poco conosciuti. Politicamente senza dubbio il centrodestra per anni non ha posto la necessaria attenzione all’ambiente ma ultimamente le cose stanno cambiando grazie all’attività di politici che anche nel nostro paese si stanno dedicando con attenzione a questo tema. Potrei citare nomi come il sottosegretario al Ministero della Transizione ecologia Vannia Gava o Lorenzo Fontana, attento a coniugare i temi ambientali con quelli dell’identità. Sta svolgendo uno straordinario lavoro Nicola Procaccini che presto lancerà un Manifesto sull’ambiente conservatore, così come l’eurodeputato Pietro Fiocchi o il senatore Luca De Carlo… ma gli esempi nel centrodestra sono molteplici e non vorrei dimenticare qualcuno. Ciò testimonia una crescente consapevolezza da parte del mondo politico che può attingere a un’importante tradizione culturale di destra su questo argomento. Dal canto nostro, con la Fondazione Tatarella e con il movimento Nazione Futura, stiamo portando avanti a livello nazionale e sui territori un lavoro a favore del Conservatorismo verde (abbiamo stampato un numero monografico della rivista con questo titolo) e il nostro vicepresidente Ferrante De Benedictis ha pubblicato un libro intitolato “L’uomo custode della natura”.

La terza via tra il “negazionismo climatico” e gli allarmismi catastrofisti appare un approccio bilanciato, che coniughi la conservazione della natura con un bilanciamento degli equilibri sociali, economici e identitari dell’uomo. Quali sono i principali ispiratori delle tesi che proponi in Conservare la natura?

Bisogna superare lo stereotipo per cui la destra è favorevole alle tesi di “negazionismo climatico”. Non sono uno scienziato perciò non entro nel merito di analisi scientifiche che non mi competono, mi limito però ad osservare che esiste un problema ambientale ed è sotto gli occhi di tutti. Il consumo del suolo, la crescita dell’inquinamento, i disastri ambientali, la costruzione di ecomostri, la distruzione delle nostre campagne sono fenomeni innegabili. Ciò non significa avere una visione antiumana cara a un certo ambientalismo che concepisce l’uomo come un nemico della natura, al contrario nel mio libro cerco di recuperare un approccio cristiano che considera uomo e natura come parte di un unico grande insieme: il creato. L’Italia è la nazione più bella al mondo grazie al nostro paesaggio naturale ma anche grazie all’attività dell’uomo che ha costruito chiese, monumenti, paesi affascinanti. Occorre perciò rifiutare una visione neomalthusiana che vorrebbe diminuire il numero di persone sulla terra, la natalità è un tema centrale per l'Europa e l'Italia e il problema semmai è opposto, ovvero che si fanno troppi pochi figli.

Pensare all’ambiente impone necessariamente di pensare in termini comunitari. Si può affermare che l’ambiente sia uno dei temi in cui la destra può costruire i suoi nuovi paradigmi politici?

Senza dubbio, mi piacerebbe però tornassimo a utilizzare con maggiore frequenza la parola natura, si parla tanto di ambiente e di ambientalismo, poco di ecologia ed ecologismo, quasi mai di natura. Un cambiamento di approccio su questi temi deve iniziare anche da un punto di vista lessicale. Il concetto di comunità è centrale per la destra e i conservatori. Spesso conservatorismo e liberalismo vengono utilizzati come sinonimi ma una delle principali differenze alla base di queste correnti di pensiero è proprio il concetto di individuo e di comunità. Mentre i liberali mettono l’individuo al centro, i conservatori considerano la comunità (intesa come insieme di persone) centrale. Conservare la natura significa non solo fare un gesto per se stessi ma, come spiega Burke definendo il conservatorismo un’unione tra i vivi, i morti e i futuri nascituri, per la propria comunità locale e nazionale. Occorre un ecologismo che parta dal locale ancor prima che dal globale, Roger Scruton lo scrive in Green Philosophy ma quando parliamo di ambiente e di comunità nel contesto italiano non possiamo non citare Strapaese, movimento culturale che si sviluppa nel Novecento contrapponendosi a Stracittà. I tre principali animatori dell’esperienza strapaesana sono Mino Maccari, Leo Longanesi e Curzio Malaparte con le riviste Il Selvaggio e L’Italiano, ma attorno a Strapaese si raccolgono alcune delle più importanti voci del primo Novecento italiano, sia da un punto di vista letterario che artistico. Se è possibile riscontrare la genesi di Strapaese a inizio Novecento con l’attività di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini e Ardengo Soffici, lo spirito strapaesano vive ancora oggi nell’Italia dei paesi, delle botteghe, delle trattorie e delle chiese di campagna.

Com’è lo stato dell’arte della riflessione in Italia sul tema di questo nuovo ambientalismo?

Come ogni cittadino potrà constatare, l’attenzione al tema ambientale non è mai stata così elevata nel nostro paese, i principali media e il mondo politico si occupano quotidianamente di ambiente. Emerge però nella maggioranza dei casi una visione a senso unico e sarebbe più proficuo un dibattito in cui tenere in considerazione il pensiero cristiano, conservatore, della destra su questi temi. Il fatto che non si possa mettere in discussione l’ambientalismo di Greta Thunberg che assume perciò un carattere dogmatico, non è positivo. Un dibattito e un contraddittorio su un tema centrale per il futuro di tutti noi non solo è auspicabile ma necessario. Prendiamo il tema delle rinnovabili: ben vengano pannelli solari e pale eoliche se realizzati con raziocinio e in aree in cui l’impatto è ridotto ma davvero distruggere ettari di terreno agricolo installando mega impianti di energia solare o pale eoliche gigantesche che non sappiamo come smaltire, significa aiutare la natura? Lo stesso dicasi per il litio necessario per la produzione delle batterie di auto elettriche, dove viene estratto? Chi lavora nelle miniere di litio? Come verranno smaltite le batterie una volta esaurite? Sono interrogativi doverosi a cui occorre dare una risposta.

Il Recovery Fund può essere un’opportunità per promuovere concretamente nuove forme di tutela ambientale? In sostanza la linea della transizione ecologica che il ministro Cingolani e il governo Draghi intendono sposare è fortemente pragmatica e realista. Possiamo parlare di una discontinuità nei fatti?

Vedremo quali saranno i risultati. Il recovery fund rappresenta da un lato un’importante opportunità, dall’altro un rischio se i fondi che riceveremo verranno utilizzati male. La sfida è coniugare i temi ambientali e la transizione ecologica con l’economia e le nostre tradizioni. Alla base della gestione dei fondi del recovery occorre un approccio orientato alla crescita economica anche sull’ambiente. Non possiamo pensare di continuare a portare avanti un approccio assistenzialista e fortemente statalista con miliardi di fondi pubblici a pioggia che non generano né crescita né nuovi posti di lavoro. L’economia italiana ha due grandi problemi: un alto debito pubblico e una bassa crescita.

Il debito pubblico (che aumenterà ulteriormente con il recovery) si può sostenere solo con una forte crescita economica, quello che accade da anni è invece che il debito aumenta e la crescita diminuisce. La transizione ecologica deve perciò favorire la nascita di nuovi posti di lavoro e nuove professionalità.

Conservare la natura di Francesco Giubilei

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