Lo stile "vagabondo chic" che seduce artisti e stilisti

La figura tutta letteraria dell'avventuriero solitario oggi ispira libri, installazioni, linee d'abbigliamento e accessori sportivi

Lo stile "vagabondo chic" che seduce artisti e stilisti

Non sarà estranea la lunga crisi della società occidentale al rilancio di una figura mitica proveniente da metà Ottocento, che oggi passa dalla moda alla musica, dalla letteratura all'arte. Si tratta dell'hobo, parola la cui etimologia appare incerta ma forse si può riferire a Homeless Boy oppure ad Homeless Bourgeois. In ogni caso, indica la scelta di vivere senza fissa dimora, senza certezze e senza timore della precarietà. L'hobo dunque non è il senza tetto ai margini ma una via di mezzo tra il tramp, il vagabondo, e il flaneur alla Baudelaire. Questa figura riassume desiderio di libertà, individualismo anarchico, romanticismo; riguarda soprattutto l'universo maschile ma è capace di sedurre quello femminile.

L'insofferenza verso qualsiasi forma di mainstream, e appunto l'orrore del domicilio, sono ingredienti alla base delle opere (e talvolta della vita, almeno in certe fasi) di alcuni grandi scrittori del passato e del presente. L'autore hobo discende da Jack London e dalle sue storie di cercatori d'oro, tocca alcune pagine di John Steinbeck, si radica nella mitologia On The Road di Jack Kerouac, e infine trovala sua forma moderna nelle moleskine e nello zaino di Bruce Chatwin. Di discepoli del colto creatore delle Vie dei canti se ne ritrovano anche nel presente, a cominciare da Robert McFarlane, critico letterario e docente a Cambridge che in Luoghi selvaggi e Le antiche vie ha scritto di «passeggiate» ai confini del mondo come un Walden contemporaneo.

La moda, come sempre più spesso accade, ha saputo leggere i messaggi intriganti della Hobo Culture e li ha resi sistematici nelle proposte delle ultime stagioni, soprattutto in inverno: maglioni larghi e grezzi (Massimo Alba), cappotti slabbrati e comodi (Massimo Piombo), giacche in lana con tante tasche, pantaloni in velluto (una linea si chama addirittura Tramp), scarpe «vissute» che simulano lunghe camminate e grasso d'officina (Golden Goose). Anche se si vive in città, sembra il look di un taglialegna, peraltro ricercato e raffinato, con barba lunga d'ordinanza. Questo genere di moda è entrato di prepotenza anche nella musica: niente a che vedere con il Grunge cupo ed esistenziale degli anni Novanta, qui si parla di scelte estreme dettate, oltre che dall'individualismo, dalla condizione romantica. Uno dei cantautori più interessanti degli ultimi anni, Bon Iver, aveva pubblicato il primo album in seguito a un periodo di esilio volontario tra i monti dopo un amore finito, mentre Jonathan Wilson, autore dell'ottimo Fanfare, tra i migliori dischi del 2013, mescola canzoni dolcissime a suoni sperimentali.

Hobo è anche colui che, pur vivendo nella metropoli, realizza piccoli o grandi viaggi avventurosi negli spazi meno battuti dal turismo, spostandosi con i propri mezzi, soprattutto biciclette e moto. Deserti di sabbia e di roccia sono tra le mete preferite di questi avventurieri del terzo millennio che girano con videocamere e iPad per postare immediatamente le foto su Instagram. L'Hobo moderno, infatti, non disdegna la tecnologia. Il celebre marchio Cinelli ha lanciato il modello di bici Hobo per le imprese più ardue e affascinanti, tipo quella dello sfortunato protagonista del film di Danny Boyle 127 ore. Non tutte le storie prevedono la possibilità di un finale rovinoso, però è chiaro che per saltellare nei canyon ci vogliono, abilità, coraggio e incoscienza. Ma soprattutto ci vuole un veicolo perfetto. Ed ecco l'ultima tendenza in fatto di motori. Meccanici o preparatori di motociclette nelle proprie officine inventano modelli che sono un'evoluzione delle «special» più fighette: hanno ruote tassellate, pensate per lunghi tratti, dall'estetica senza fronzoli eppure irresistibili per inventiva e fantasia.

Meno evidenti i richiami immediati all'Hobo-mania nelle arti visive, dove comunque si possono far risalire le radici agli anni '70 e dunque alla Land Art che sul desiderio di uscita da gallerie e musei per confrontarsi con gli spazi suburbani fondava il proprio credo. Da Smithson a De Maria, da Heitzer a Christo, non c'è chi non abbia tentato di sfidare la natura con l'obiettivo, talora ai limiti del superomismo, di sovrapporvi il proprio segno. Meno monumentale, e certamente più interessante, l'esperienza di David Hammons, artista di colore che a lungo ha vissuto ai margini della società producendo i propri lavori con scarti della metropoli.

Al netto di un certo gusto vintage che invade diverse opere di giovani, il gusto Hobo è rintracciabile nell'opera del dissacrante concettuale tedesco John Bock, nella Folk Art della West Coast americana e in diverse espressioni della pittura pop surrealista, venata però di ironia e di sarcasmo, come l'apoteosi dell'uomo che si fa da sé nei Clayton Brothers.

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